La causa che l’azienda Baumeaux ha intentato contro l’associazione Kokopelli è diventato il caso paradigmatico della lotta sulla possibilità di riprodurre, detenere e scambiare semi in Europa. Ho riportato qui tre documenti che, provenendo da fonti certe, riproponessero con linguaggi anche diversi tutti gli elementi di questa discussione. Buona lettura.
Il tribunale di grande istanza di Nancy, nel 2008, aveva condannato l’associazione senza scopo di lucro Kokopelli a risarcire a stralcio con 10 mila euri per concorrenza sleale l’impresa sementiera Graines Baumaux, che ne aveva richiesti 50 mila.
Era stato verificato che Kokopelli e Baumaux operavano nel medesimo settore delle sementi “antiche” o da collezione, che vendevano 233 prodotti identici o simili, indirizzandosi alla stessa clientela di orticoltori amatoriali, in situazione quindi di concorrenza, che per Kokopelli fu ravvisata sleale, perché vendeva sementi orticole non registrate nel catalogo francese, né in quello comunitario.
Kokopelli ricorse alla corte d’appello di Nancy, la quale chiese alla corte di giustizia dell’Unione europea di valutare se fossero valide la direttiva 2002/55 sulla commercializzazione di sementi orticole e la direttiva 2009/145 che prevede alcune deroghe per le varietà da conservazione e per quelle varietà costituite appositamente per rispondere a condizioni particolari di coltivazione.
Il 19 gennaio 2012 l’avvocato generale presentò le sue conclusioni, che non saranno poi condivise interamente dalla corte, nelle quali era indicato: «le sementi della maggior parte delle specie di piante agrarie non possono essere commercializzate se non è ufficialmente ammessa la varietà in questione. Tale ammissione presuppone che la varietà sia distinta, stabile od omogenea (…) ed inoltre occorre che sia stabilita la capacità di rendimento – un valore di coltivazione o d’utilizzazione soddisfacente – della varietà, nel caso di cicoria industriale. Ora, per molte delle “varietà antiche” queste prove non possono essere portate. Si pone perciò la questione se in questi casi la restrizione agli scambi di sementi sia giustificata». L’avvocato generale (per la precisione l’avvocata Juliane Kokott, che è anche docente all’università di San Gallo, in Svizzera) aveva proposto alla corte di dichiarare non valido il divieto, contenuto nella direttiva 2002/55, di mettere in commercio le sementi di una varietà della quale non sia stata dimostrata la distinzione, la stabilità, la sufficiente omogeneità, ed in certi casi, anche che possieda un valore sufficiente di coltivazione o d’uso.
È interessante leggere il testo della prof. Juliane Kokott, la quale mette a confronto approfonditamente le prescrizioni coinvolte di varie direttive europee con il fondamentale trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche ed inoltre con le norme basilari dell’Unione europea e spesso conclude invalidando la direttiva 2002/55 sul catalogo delle sementi orticole (cfr. Doc Cee)
La Corte di giustizia dell’UE ha invece giudicato, nella decisione diffusa il 12 luglio 2012, che le direttive europee sul commercio dei semi orticoli sarebbero valide sia riguardo ai principi informatori dell’Unione europea, sia rispetto al Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura e terrebbero conto degli interessi economici dei venditori delle varietà antiche, sotto certe condizioni che ne consentono il commercio.
Esaminando la sentenza, si osserva che la Corte antepone lo scopo di garantire sementi molto produttive e non considera la biodiversità, pur citando per primo il trattato internazionale (cfr. Doc. Cee). Nel capoverso 52 si dice che Kokopelli «non ha indicato le ragioni per cui giudica che il regime di ammissione delle varietà nel registro dei semi sarebbe manifestamente sproporzionato riguardo agli obiettivi perseguiti». Chi conosce la direttiva 2002/55 sul registro delle sementi ed il trattato sulle risorse fitogenetiche, comprende subito, invece, che le varietà “antiche” non adatte ad un’agricoltura industriale, sono spesso portatrici di qualità organolettiche e nutrizionali da tutelare ad ogni costo. Il punto 54 parla anche di qualità, ma in questi termini: «bisogna constatare che il legislatore dell’UE ha considerato che il regime d’ammissione previsto dalla direttiva 2002/55 era necessario affinché i produttori agricoli ottenessero una produttività affidabile e di qualità in termini di rendimento».
Altro equivoco della sentenza mostra che il collegio giudicante non ha forse afferrato completamente l’essenza dei vari provvedimenti che era stato chiamato a valutare. Nello stesso paragrafo 52 sopra citato e nel 60, inopinatamente si afferma che la direttiva 2002/55 si preoccuperebbe anche di evitare “sementi potenzialmente nocive”, mentre, all’evidenza, non è affatto questo un compito di tale direttiva.
A parere della Corte, sarebbero sufficienti le disposizioni della direttiva 2009/145 che prevedono l’ammissione al registro particolare delle varietà da conservazione senza prove ufficiali, anche soltanto con riferimento alle esperienze di coltivazione. Quanto alle limitazioni di diffusione e di coltivazione delle varietà da conservazione, la Corte rammenta che la direttiva 2009/145, nel considerando 15, prevede che al compimento del triennio la Commissione esamini in particolare le disposizioni relative alle restrizioni quantitative e l’art. 35 esige che la Commissione esamini la sua applicazione per il 31 dicembre 2013. «Conseguentemente, la detta direttiva è suscettibile di essere modificata in funzione dei risultati delle verifiche fatte».
La sentenza conclude nel paragrafo 93 che «l’esame del quesito posto non ha rilevato nessun elemento che inficiasse la validità delle direttive 2002/55 e 2009/145».
Tutto il mese di luglio, a cominciare dallo stesso giovedì 12 quando fu diffusa la sentenza della Corte di giustizia europea, è stata una levata di scudi del mondo ambientalista e biologico. Per rendersene conto, basta chiedere a Google qualcosa come «L’europe verrouille les semences anciennes» e contare le pagine dei siti che ne parlano. Il fatto è che l’aspettativa era ben diversa, avendo saputo quanto equilibrate erano apparse le conclusioni dell’avvocato generale, che di solito sono seguite pedissequamente dal collegio giudicante.
Nello studio di un bravo avvocato di Adria al quale mi rivolgevo quando avevo meno della metà dell’età odierna, era appesa una tavoletta in ceramica con un’iscrizione veneziana secentesca che diceva: «Quel che ghe vol per intraprender lite: aver borsa da banchier, gamba da levrier, pasiensa da romito, aver rason, saverla espor, trovar chi l’intenda e chi la vogia dar, e debitor che possa pagar».
Sta ora alla corte d’appello di Nancy di prendere le sue decisioni, tenendo conto delle interpretazioni della corte di giustizia europea e, speriamo, del lavoro ponderoso finora infruttuoso della mamma di sei figli Juliane Kokott, dei numerosi interventi di ambientalisti e di salvatori di semi, che sono fra i più interessati alla semplificazione delle normative sulle sementi cosiddette antiche.
Guido Fidora
Fonte Rete Dei Semi Rurali