Il commento di Filippo Ronco all’articolo del 5 agosto scorso di Tokyo Cervigni su Eataly pone la questione sul come far convivere etica e commercio e ci offre lo spunto per un’altra riflessione.
La questione, si badi bene, non è per nulla astratta. Anzi è di una concretezza drammatica. Nella storia moderna interi popoli, generazioni e territori, sono stati distrutti, cancellati o deturpati a causa di determinate declinazioni dell’etica del commercio.
Ma non la vogliamo prendere troppo alla larga e vi presentiamo un esempio molto concreto che pone questioni che io non saprei risolvere. Parliamo del Porro di Cervere, chi scrive conosce bene sia il prodotto che la comunità che lo coltiva, e delle possibili conseguenze che potrebbe avere l’applicazione di diversi business model per la sua commercializzazione.
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Intanto cerchiamo di capire qual è la differenza tra il porro di Cervere e quello di altre zone:
“I terreni di Cervere ove si coltiva questo ortaggio hanno caratteristiche pedologiche particolari, cioè sono composti da limo, sabbia fina e calcare; questa combinazione è abbastanza rara in natura. Il porro in questi siti acquista un sapore dolce, gradevole al palato ed è più digeribile. Inoltre in questa zona vi è un clima particolare (microclima) cioè una luminosità buona ma non violenta che determina la produzione di porri assai lunghi e teneri con basso contenuto in lignina e cellulosa (sostanze difficilmente digeribili). La ventosità leggera e costante, ma non intensa e violenta determina condizioni sfavorevoli allo sviluppo delle malattie fungine per cui non vi è la necessità di effettuare trattamenti con prodotti anticrittogamici.”
Il territorio ove storicamente viene coltivato il porro di Cervere è assai ridotto (poche decine di ettari nel comune di Cervere). La sua produzione non può che essere limitata, sebbene nel corso degli anni, grazie al Consorzio per la valorizzazione e tutela del Porro Cervere, essa sia discretamente aumentata. Tuttavia, fuori dai confini della Provincia di Cuneo, praticamente nessuno conosce il porro di Cervere e tantomeno lo consuma. Sui banchi dei verdurai, anche i più chic di Milano, voi non trovate il porro di Cervere.
E’ un bene o un male?
Qualcuno dice che il cibo deve essere Buono, Pulito e Giusto. Sul fatto che il porro di Cervere sia buono, credetemi, non c’è da discutere. Sul fatto che sia pulito nemmeno. Sul concetto di giusto invece cominciano i primi problemi.
Immaginiamo che sul Porro di Cervere si manifesti l’interesse di un qualche “stratega” del food business che ha deciso che i milanesi devono seguire una dieta a base di porri per purificarsi.
Partiamo dal prezzo: il Consorzio per il 2012 ha deciso di mantenere il prezzo di 1,8 euro al Kg. (venduto sulla strada in fascio da 3,4 Kg a 6 euro l’uno). Il porro si vende a Novembre e quindi il prezzo del 2013 non è ancora stato deciso.
Per chi lo compra direttamente dal produttore, sulla statale di Cervere, è un affarone. In alternativa lo si può comprare sui banchi dei pochi mercati locali che lo commercializzano ad un prezzo generalmente quasi raddoppiato (ca. 2,5 euro al Kg). Si tenga conto che i produttori di porro di Cervere sono appena 38 e che la produzione del 2012 non ha superato i 1.000 quintali. Un TIR in un solo viaggio sarebbe in grado di trasportare un terzo della produzione.
Con una efficace azione di marketing ed una adeguata distribuzione, il porro di Cervere potrebbe tranquillamente essere venduto, ad esempio, a Milano a 5 euro al Kg (il porro si conserva comodamente da Novembre a Febbraio). Immaginiamo anche che i singoli produttori potrebbero essere indotti a vendere la loro intera produzione a fronte di una bella offerta cash.
Diamo una occhiata alla seguente simulazione (si tratta di una pura ipotesi):
quintali di porro prodotti: |
1.000 |
prezzo al produttore: |
€ 1,80 |
costo all’ingrosso della produzione annuale: |
€ 180.000,00 |
costi di trasporto: |
€ 1.500,00 |
prezzo al dettaglio a Milano: |
€ 5,00 |
valore complessivo generato: |
€ 500.000,00 |
valore aggiunto generato dal sistema distributivo a Milano |
€ 318.500,00 |
peso della distribuzione sulla produzione: |
178% |
Quegli ipotetici 300Mila e più euro di valore aggiunto, nelle tasche di chi andrebbero e con che proporzioni? Dipende da chi controlla la catena distributiva, sicuramente non in quelle della comunità di Cervere né in quelle dei consumatori. In ogni caso si tratterebbe di un business interessante, apparentemente per i produttori di Cervere non cambierebbe nulla, anzi non dovrebbero più mettersi per strada a vendere, ma le conseguenze a lungo termine non le conosciamo. A noi, ora, interessa sapere se vi siano alternative a questo modello.
www.botticellofarms.net
Ad esempio, se a chi scrive venisse chiesto di portare a Milano, a Novembre, un quintale di porri per un amico che ha un negozio di frutta e verdura, a quale prezzo l’amico potrebbe venderli?
Tenete conto che il viaggio di andata e ritorno Cervere – Milano costa 50 euro di diesel e 20 euro di autostrada, ma con la tariffa ACI costerebbe 200 euro, cioè 2 Euro al Kg. Se l’amico vuole avere un 20% di margine con cui pagare i propri costi, il prezzo finale dovrebbe essere 4,75 Euro al Kg.
E’ “giusto” questo prezzo? Sì perché è meno di 5 euro, vien da dire, e perché è stato solo pagato un rimborso spese a un amico. Ma siamo proprio sicuri che il discorso si possa limitare a questo calcolo? Non dovrebbero entrare in gioco anche altri elementi per poter formulare un giudizio finale sull’operazione Porro di Cervere?
Cari amici di Ciboprossimo: abbiamo bisogno di voi, per decidere insieme quali modelli di business possiamo promuovere e quali errori non dobbiamo ripetere. Misurandoci da subito su casi concreti.