Più valore agli agricoltori, più crescita del territorio

Soltanto una minima parte del valore dei prodotti agroalimentari rimane agli agricoltori. Un’anomalia che secondo i ricercatori dell’Università degli Studi di Milano, può essere corretta investendo sullo sviluppo delle filiere corte a scala territoriale.

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Da un’analisi generale relativa agli equilibri che caratterizzano il rapporto tra agricoltura e mercati, emergono due aspetti rilevanti. Da un lato si può osservare che nei Paesi occidentali l’agricoltura produce principalmente beni destinati al mercato globale e all’industria agroalimentare: solo il 20% della produzione viene commercializzato localmente, al contrario di quanto avviene invece a livello mondiale in cui questa percentuale sale all’80%. Dall’altro si rileva che all’interno degli attuali equilibri economici, gli agricoltori trattengono una quota molto contenuta del valore prodotto dall’intera filiera, percentuali più rilevanti sono appannaggio degli altri attori che vi partecipano.
Le voci di costo per la movimentazione ad ampio raggio delle merci, soprattutto di commodities agricole che hanno un prezzo di mercato contenuto, rappresentano un limite che si stima che in futuro possa essere vincolante, ma ancora di più un’esternalità negativa in termini di consumo di carburanti fossili, di aumento di gas serra e quindi di impatto ambientale.

Negli ultimi anni è cresciuta la richiesta di trasparenza e di riconoscibilità dei prodotti agroalimentari e una quota crescente di consumatori sempre più richiede prodotti locali, ritenuti migliori in termini sia di qualità sia di impatto ambientale e soprattutto più facilmente controllabili. Le crescenti richieste di materie prime alimentari, determinate dall’aumento della popolazione a scala mondiale e del cambiamento delle abitudini alimentari delle classi medie dei Paesi in via di sviluppo, potrebbero portare in futuro ad un diverso regime dei flussi commerciali dei prodotti agroalimentari e ogni paese potrebbe essere chiamato a contribuire in modo più marcato alla produzione per il consumo interno.
Tutte queste ragioni spingono a focalizzare maggiormente l’attenzione su nuovi modelli di filiere corte a scala territoriale che soddisfino la domanda locale o, meglio, su nuovi Sistemi Agroalimentari Locali (SAL), che consentano di trattenere la maggior parte del valore aggiunto nel territorio e costituiscano un importante volano per lo sviluppo locale sotto il profilo economico, occupazionale, sociale, culturale e ambientale. Questi sistemi comprendono produzione, trasformazione, distribuzione e consumo e sono pianificati e gestiti per assicurare migliori condizioni al produttore e al consumatore; essi permettono anche di ottimizzare e razionalizzare i flussi di materia e di energia riducendo gli sprechi e riutilizzando parte della sostanza organica scartata destinandola ai terreni coltivati. Nella pianificazione e gestione di un SAL, oltre ad elementi ambientali, geografici e climatici, possono giocare un ruolo fondamentale anche le condizioni istituzionali e politiche, le caratteristiche economiche, il grado di concentrazione delle risorse e dei capitali, la capacità di spesa dei consumatori, il grado di consapevolezza, le tradizioni produttive e di consumo, le abitudini alimentari. Nell’ambito dei SAL il rapporto produzione-consumo può essere diretto o intermediato. Al primo canale distributivo, quello che si può definire “dal produttore al consumatore”, appartengono diverse tipologie di attività tra cui i farmers’ markets, le community supported agriculture (CSA), la vendita diretta in azienda e le operazioni di pick your own.
Il secondo canale distributivo comprende invece la vendita a ristoranti, distribuzione organizzata e istituzioni pubbliche e private come ad esempio scuole, ospedali, case di riposo.
Per quanto concerne il canale diretto la forma più semplice è la vendita diretta in azienda che però sconta la difficoltà di raggiungere un ampio pubblico, si rivolge soprattutto a un mercato di prossimità e appare particolarmente efficace laddove l’azienda è ubicata in località e percorsi a grande richiamo turistico. Il vantaggio di questa forma di distribuzione è il legame tra prodotto e azienda che in molti casi può rappresentare un fattore di attrazione per il consumatore.
Negli ultimi anni si è sviluppata la vendita di prodotti on-line che costituisce un’estensione delle possibilità di vendita diretta dell’azienda agricola. Una forma più semplificata e, almeno in Italia, meno diffusa del canale breve è rappresentato dalla pratica del pick your own che consiste nella raccolta diretta da parte del consumatore di frutta, ortaggi o fiori. Un canale distributivo alternativo, nato in Svizzera e Giappone negli anni ’60 e diffuso negli Stati Uniti, ma che si sta sviluppando anche in Italia è quello della Community Supported Agriculture (CSA) in cui un gruppo di consumatori compra una quota della produzione attesa di un’azienda agricola, coinvolgendosi nella pianificazione delle attività e assumendone una parte dei rischi.
Forme di mercato, canali distributivi e principali caratteri dei sistemi agroalimentari locali (SAL)
La ristorazione istituzionale, e quella scolastica in particolare, rappresenta un punto di incontro importante fra produzione e consumo, investe di responsabilità le amministrazioni pubbliche e la scuola, consente la partecipazione dei genitori e dei cittadini nelle scelte e rappresenta un importante sbocco di mercato per i produttori. La razionalizzazione delle filiere di approvvigionamento della ristorazione istituzionale, la loro qualificazione e il miglioramento della sostenibilità del sistema sono un obiettivo attualmente perseguito a livello istituzionale. Si tratta quindi di rendere possibile e continuativo un nuovo rapporto tra la domanda del sistema della ristorazione istituzionale, che richiede forniture costanti e quantità spesso rilevanti con standard di qualità spesso diversi da quelli richiesti dalla GDO, e il sistema della produzione agroalimentare locale, che risulta oggi, attraverso la nascita dei distretti, in via di significativa organizzazione.
Le difficoltà nel soddisfare l’attuale domanda possono essere superate con una maggiore/migliore conoscenza dei caratteri territoriali delle produzioni (quantità, qualità, distribuzione territoriale, disponibilità stagionale), degli standard di qualità richiesti (sicurezza alimentare ecc.), con un’aggregazione delle vendite basate su piattaforme locali e multiprodotto e un’organizzazione più efficace delle filiere.
Con il progetto BioRegione (cofinanziato da Fondazione CARIPLO e condotto da Università Statale e Politecnico di Milano), sono state raccolte importante informazioni sugli aspetti produttivi, economici, ambientali ed energetici dei SAL della Lombardia ed è stata sperimentata una procedura multidisciplinare che si interfaccia con gli strumenti di politica territoriale a diversa scala.
In Lombardia annualmente la ristorazione istituzionale conta oltre 200 milioni di pasti annuali. Di questi 72 milioni circa vengono consumati nelle scuole, 28 milioni nei servizi per l’infanzia (asili nido ecc.), 49 milioni negli ospedali e 53 milioni nei servizi socio-assistenziali (case di riposo, residenze per disabili, ecc.).
Stefano Bocchi, Stefano Corsi, Giovanni Ferrazzi, Roberto Spigarolo Università degli Studi di Milano

Fonte: Lombardia Verde – settembre/ottobre 2013


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