L’antico orto nel buio dei secoli saronnesi

È una lunga storia quella della coltivazione dell’orto, si presume già praticata in epoca preistorica, affidata alle donne, mentre i loro uomini si occupavano della caccia.
Ai tempi dei romani la responsabilità dell’orto gravava sulla regina di casa, e questa era giudicata da come lo coltivava. Il Vecchio Gaio Plinio scrisse: ”Era indice di incapacità nel condurre una famiglia quando la donna non curava l’orto e ricorreva al mercato”.
Nei secoli bui del Medioevo l’arte ortofrutticola proseguì coi contadini e nei monasteri Benedettini che seppero sviluppare varietà nuove e migliorare quelle già esistenti.
È presumibile in quest’epoca attribuire le terre lungo la fascia delle abitazioni dei contadini che delimitavano il Borgo di Saronno (al tempo Seronum) essere dedicate alla coltivazione ortofrutticola. Questo stato perdurò per secoli senza mutazioni, ma con l’accrescere dell’industria già nei primi decenni del Novecento la campagna e le aree riservate a colture ortive videro un progressivo abbandono per un posto in fabbrica. Una sorprendente eccezione fu l’orto della mia famiglia Turconi che costituì un esempio di rivalutazione degli orti in città. Con saggezza e lungimiranza i nostri avi contadini-coltivatori, ben comprendendo le potenzialità della Terra e dei doni che essa può offrire, hanno sempre ricevuto da questo tipico orto della tradizione un valido contributo al soddisfacimento delle esigenze alimentari del loro nucleo domestico.
Giuntoci quasi inalterato dalla prima metà del Settecento attraverso il capostipite Carlo Giuseppe, maritato con Antonia Banfi, massari della nobile famiglia Zerbi, l’orto passò ai figli Pietro Antonio (1753 – 1829) e Matteo (1758 – 1839), i quali nel 1800 acquistarono il cortile dove abitavano e l’annesso orto di pertiche 1,2 al prezzo di 6100 £ milanesi in denari d’oro e d’argento. Dal ramo di Matteo, per successione ereditaria si perviene al bisnonno Giovanni (1828 – 1897), ultimo macinatore di droghe (spezie) e “pannello”. Il suo testamento ci porta a riflettere sui sacrifici compiuti e sui valori che la famiglia ha mantenuto nel tempo: “Lascio ai miei figli la casa e l’orto ed a mia moglie Felicita Caronni il cavallo, la vacca e il carretto, perché ella possa vendere per far fronte ai debiti che lascerò al mio decesso”. In realtà la sorte benevola, e specialmente l’impegno dei discendenti, hanno permesso che la casa e l’orto ci siano ancora.

Turconi Giovanni durante la macinazione delle spezie 1848
Turconi Giovanni durante la macinazione delle spezie 1848

Per la nostra famiglia questo appezzamento rappresenta l’attuazione concreta della meravigliosa singolarità dell’Eden, il biblico giardino, per la perfetta simbiosi tra fiori, ortaggi e frutteto. L’orto è l’effetto del radicamento e della continuità della nostra famiglia nel luogo d’origine, facendo parte dell’area dove sorge ancora l’antica abitazione di cortile dei Turconi in via San Cristoforo, nel centro storico. È perciò un luogo della memoria che vive tra passato e presente, un luogo dell’anima ricco di significati sorprendenti e profondi.
Nel 1952 quando il testimone fu riposto nelle mie mani, purtroppo, a poco più di dieci anni (il padre malato gravemente), questo pezzo di terra era affiancato da una piccola aia, dove le galline venivano lasciate libere di razzolare. Una rete metallica con un filare di fiori all’ingresso lo divideva dal giardino. Sul vialetto qua e là all’inizio dell’estate ceppi di gigli lo inebriavano di un dolce profumo ed esaltavano nel contrasto cromatico con il verde degli ortaggi, che crescevano ai lati. Sul fondo del giardino, dove una strettoia confinante coi Frati Concettini divideva la proprietà dei Conti Taverna, due piante di fico ed una di cachi assolvevano il compito di sbarrare i freddi venti del nord. Lungo il lato ovest un filare di vite americana completava il frutteto.
Questi angoli mi riportano ai miei svaghi di ragazzo, tra cui uno veramente “speciale”, l’ascolto della radio. Non era però quella di oggi che tutti conosciamo, bensì una rudimentale a galena che avevo costruito artigianalmente seguendo le istruzioni tratte dal “Sistema a”, la prima dispensa tecnica apparsa in edicola nel 1949. Ovviamente, l’alta pianta di cachi fu un valido punto d’aggancio per il filo di rame teso sino al fienile con funzione di antenna. Che emozione provai al mio primo ascolto radiofonico!
Sono ancora assai vivi tutti i ricordi della fanciullezza trascorsa lietamente. Nel tempo libero dalla scuola e dai giochi di cortile, a fianco di mio padre, appresi i suoi insegnamenti sulle nozioni ortofrutticole. E qui mi limito a descriverne solo alcuni:
-al suono delle campane di San Giovanni Battista, 24 giugno, si deve torcere lo stelo dell’aglio per arrestare la linfa al solo bulbo, allo scopo di completare la formazione degli spicchi.
-sovente papà andava dicendo il proverbio: “Rar in terra e spess in dal caldár” –semina rado nel terreno, così sarà abbondante nel “caldaro” (pentolone) il raccolto.
-da sempre la nostra famiglia usava porre un vaso di vetro dalla bocca allargata, riempirlo d’acqua “cont ol ciar d’oeùv” – (con l’albume dell’uovo), prestando attenzione a collocarlo al centro dell’orto, vicino a degli ortaggi che con la loro chioma lo sovrastassero. Il motivo mi era già noto: da sempre la nostra famiglia usava porre il vaso nell’orto la notte di San Pietro e Paolo, 29 Giugno, affinché si irrorasse di rugiada, così il mattino seguente la “barca” di San Pietro sarebbe comparsa a mezz’acqua.
– i metodi di conservazione degli ortaggi per la stagione invernale: si doveva riporre il sedano in ceste con sabbia fine ed asciutta – sradicare i cavoli dal campo aperto e ripiantarli in terreno riparato dai venti freddi, uno accanto all’altro in filari, rincalzando le radici con la terra – proteggere con la paglia i gambi dei cardi e degli ortaggi dal gambo fibroso – tritare il prezzemolo e conservarlo in vasetti – legare cipolle e agli a resta ed appenderli sotto il porticato – tenere le patate in ceste e conservarle al buio in camera da letto, locale che mediamente non superava i 5° C – lo stesso per i cachi, conservati in ceste con la paglia – inserire in vasi di vetro fagioli e piselli dopo un’accurata essicazione – tenere l’uva nel cassettone della nonna, per le delizie del Natale – conservare sott’aceto cetrioli e peperoni, anche sedano e rape previa bollitura di pochi minuti – disporre su un tavolato sotto il portico i pomodori acerbi raccolti a fine stagione per completare la maturazione lentamente con poca luce e in parte conservarli in aceto e sott’olio, e molto altro ancora.

Zuppa per Convalescenti Nostra madre, da parte sua, aveva un ruolo attivo in tutte queste operazioni e, con la diligenza della previdente moglie che ha a cuore l’organizzazione della cucina e dei pasti, aveva compilato un ricettario datato anno 1930 che ci è giunto in eredità. In queste ricette tipiche dell’Alto Milanese, trascritte con calligrafia ordinata ed elegante, le verdure dell’orto sono sempre inserite come ingredienti essenziali nella preparazione dei cibi sani, gustosi e curati, di cui allego una ricetta.
Chiudo la mia testimonianza di veterano coltivatore dedito all’orto, intendendo esprimere il mio compiacimento al fratello Franco per il sua impegnativa opera racchiusa nel libro: ”ORTO – GIARDINO CHE PASSIONE”, frutto delle esperienze svolte sulla scia della saggezza degli avi mettendo a disposizione degli amanti dell’orticoltura moltissime conoscenze, facilitate da numerose tavole illustrate e fotografie. Al mio plauso si unisce l’augurio che il suo lavoro trovi ampia diffusione tra quanti, apprestandosi a lavorare il loro orto, sognano di trasformarlo nel verdeggiante e rigoglioso giardino dell’ Eden.

Antonio Turconi


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