[…] «nell’ ultimo anno più di 7 milioni di famiglie si sono ritrovate almeno una volta con un prodotto confezionato rivelatosi avariato». Allora ci vuole anche altro, qualcosa che ha a che fare con la nostra idea di cibo e che inevitabilmente ci fa tornare sul concetto di “distanza”. Come si riduce questa lontananza? Due sono le parole chiave: educazione e prossimità. La maggior parte delle persone non sa quasi più nulla sul cibo. Non sa comprenderne le qualità effettive a partire dal suo sapore, non abbiamo palati “esperti” ed educati. Non lo sa cucinare, soprattutto se richiede una lavorazione un poco più complessa a partire da materie prime “integrali” (quanti sono in grado di pulirsi da soli un pesce crudo o un pollo?). Non si conosce più la stagionalità, il che sembrerebbe banale, ma provate a domandarvi esattamente in che mesi abbiamo i pomodori, le zucchine, i cachi, le arance e poi andate a controllare la risposta esatta: resterete sorpresi. Non sappiamo quali sono le tecniche di conservazione moderne dell’ industria, ma neanche più quelle casalinghe dei nostri nonni. Non conosciamo le varietà di frutta e verdura, si sono molto omologate, ne abbiamo perse tante, ma sono ancora numerose e si prestano ai diversi usi o preferenze gastronomiche. Non sappiamo dove e chi coltiva le materie prime, da dove provengono, in che mani sono passate, come e perché. Sono informazioni che o non ci dicono o non riusciamo a capire oppure, troppo spesso, che non vogliamo più sapere. Eppure, secondo l’ indagine, la sensibilità verso questi temi sta crescendo, la gente vuole informazioni. Il processo però parte prima di tutto a livello individuale: il cibo è ciò che mettiamo nel nostro corpo, indispensabile alla nostra vita e al nostro benessere. Va come minimo “studiato”, bisogna dedicarci del tempo. Sarà così più facile fare una spesa intelligente, e di conseguenza anche trovare i canali giusti, convenienti e “sicuri”. Ed è qui che entra in gioco la prossimità. Sentire il cibo prossimo a se stessi significa poi cercare il cibo prossimo per davvero, quello che gli italiani hanno meno remore a comprare, sempre secondo l’ indagine. Cibo comprato dai produttori, che intanto si conosceranno di persona; cibo comprato nei mercati di quartiere (contadini e no), dove chi vende ha una faccia più riconoscibile; cibo di cui si conosce la provenienza, e quindi anche il valore che rappresenta per il territorio d’ origine, meglio se il proprio. […]
Fa una certa impressione sentire descrivere quello che stiamo facendo, Ciboprossimo, utilizzandone persino il titolo (ovviamente scherziamo), niente di meno che da Carlin Petrini. Dovete leggere assolutamente anche il pezzo originale su Repubblica. L’articolo è di dicembre 2013 ma ne abbiamo parlato lungamente vicino alle mimose della foto. A proposito sapete che sono commestibili? Se non ci credete fate come noi andate ad un mercato contadino e sentite cosa vi racconta il produttore…