Ma tornando al paesaggio, in questa difficile proposta culturale proiettata nel futuro, possono forse soccorrerci le grandi tradizioni culturali e spirituali orientali per non dire le ritualità sciamaniche che, non avendo ancora finito di relegare completamente le divinità nei sacelli dei templi dopo averle definitivamente rimosse dalla natura, permettono non solo di vedere ancora nelle innumerevoli forme del mondo naturale altrettante teofanie, ma anche di sostituire alla visione estetica dei paesaggi una loro percezione estatica , una capacità di contemplazione da parte degli umani che privilegi e sostituisca, nella gerarchia dei valori interpretativi ed educativi, il soulscape dei luoghi.
E’ augurabile che si possa, almeno così, riuscire a guardare i paesaggi culturali non urbani rimuovendo i filtri che rendono oggi poco desiderabili gli incontri estetici e spirituali con il mondo. In conclusione ci sentiamo di affermare che gli ultimi legami che ci rimangono con la sacralità dei luoghi del pianeta vadano pervicacemente salvaguardati e che debbano essere affinate, prima che sia troppo tardi, le sensibilità “per sentire” le forze di un luogo; che si debbano, in altre parole, mettere le energie vitali in rapporto con i fluidi negativi e positivi che attraversano i luoghi. Con questo lavoro auspichiamo quindi indirettamente, specialmente per le generazioni future, il risveglio dall’ipnosi collettiva che oggi viene loro imposta, nel tentativo di aiutarle a ricostruire mappe e sentieri mentali che dovrebbero consentire loro di pilotare le ontologie della loro vita quotidiana, dotandole di paesaggi mentali ecosistemici, ricchi cioè di eterogeneità, di interazioni e generatori di novità.
Contrariamente a quanto oggi viene proposto dei modelli socio-culturali dominanti, vogliamo unire con il nostro lavoro, la nostra voce a quanti da tempi non sospetti sostengono che il rapporto con la natura non possa continuare arbitrariamente a essere pensato come un dominio incondizionato su di essa, ma che invece vada riprogettato in una nuova prospettiva culturale di una interrelazione orizzontale e armonica, di un nuovo patto, di una nuova alleanza. Così facendo il paesaggio si presenterà non solo come il simulacro di una eredità di lavoro e di fatica, ma anche come un patrimonio di identità, di legami affettivi e di simboli e perché no, anche di amore e di cura per la bellezza della propria terra, di conoscenza della sua cultura, delle sue tradizioni e dei modi di abitarla che via via si sono consolidati nei secoli.
Sentire un’esigenza ed avere la possibilità di esprimerla, tramite il lavoro di ricerca di una vita, è essere fortunati. Ed è così che si definisce l’autore di Ecologia del Paesaggio del Monte di Portofino, dalle cui pagine abbiamo tratto le parole precedenti. Ma quando poi vediamo la bellezza dei fiori che popolano il suo giardino, possiamo senz’altro dire che accanto alla fortuna ci deve essere ben altro. Penso che sia la stessa energia che ha portato in quest’ultimo anno, prima a provare un orto in cassoni ed adesso un orto sinergico e che giustifichi la pervicace difesa del suo antieconomico olio.