Dopo la colazione iniziamo a camminare per la campagna, superiamo anche un ruscello finché arriviamo in una tipica casa cilentana “non finita”.
Al piano terra c’è una piccola montagna di “terra”. Prende la parola Michele e ci chiarisce che quello è il famoso Bocaschi di Rivera e aggiunge subito: ieri avete visto la capacità del suolo di generare vita quando è lasciato a se stesso? E’ da quei primi 10 centimetri di terra che viene quello che mangiamo. Sapete che non ci sono coltivazioni che durano più di 6 mesi? Un organismo che è abituato a creare in modo complesso viene piegato a produrre un mono prodotto come vogliamo noi e nel tempo che vogliamo noi. Per fare questo “aggiungiamo” al suolo azoto, fosforo e potassio. L’azoto, ha per le piante lo stesso effetto che lo zucchero ha per noi, peccato che piace anche agli insetti che quindi le attaccano. Allora dobbiamo attaccare gli insetti, indeboliamo le piante e ricominciamo tutto daccapo con l’unico risultato che il suolo, il vero generatore di vita, alla fine si esaurisce e con la terra esausta perdiamo biodiversità, capacità produttiva e molto altro. E’ necessario invertire il processo. Dobbiamo partire dalla conoscenza del suolo e lavorare in sinergia con il suo modo di operare. L’agricoltura organica e rigenerativa parte proprio dai suoli e il Bocashi è uno dei suoi strumenti. Il Bocashi, un concime organico fermentato i cui ingredienti si ottengono dal calore generato durante la sua preparazione, rigenera la terra, alimenta il suolo, aumenta la profondità delle radici e fertilizza le piante perché contiene diversi tipi di sostanze nutrienti solubili (macro e micronutrienti) immediatamente disponibili. Gli ingredienti possono cambiare a seconda delle condizioni di ogni luogo, per questo è importante conoscere il processo generale della sua preparazione e a cosa serve ogni ingrediente. I migliori ingredienti sono quelli che si hanno a portata di mano. Per preparare 60 sacchi di concime (quantità necessaria per un ettaro di terreno a ortaggi o cereali) servono
- 20 sacchi di letame
- 20 sacchi di residuo (stoppie e foglie) macinato di mais
- 20 sacchi di terra
- 1 sacco di crusca di riso, grano o farina di mais
- 4 kg di zucchero
- 1 o 2 sacchi di carbone vegetale in pezzi piccoli, si può usare anche cenere o polvere di roccia
- 1 kg di lievito granulato per pane
- acqua
Il Bocashi non solo fa bene al suolo ma anche al settore produttivo da cui proviene il letame. La guida ufficiale quando parla di come farlo, giustamente usa la parola ricetta, parola che unita a quanto raccontava Michele sull’importanza di non lasciare che il letame diventi liquame mi portava subito alla mente che forse il Bocashi sia un metodo per trasformare la “merda in rosolio”. Nonostante il sapore esotico derivante dal nome e dal suo divulgatore, il Bocashi, probabilmente non è altro che una riscoperta della antiche pratiche di uso del letame. I contadini una volta non lavavano le stalle con l’acqua, anche perché non ce l’avevano, ma lo accumulavano durante l’inverno e quando l’esponevano al sole questo fermentava e solo allora poteva essere disperso sui campi. L’unica differenza è sulla brevità del tempo necessario a raggiungere la fermentazione e la qualità della stessa. Nel Bocashi bastano solo 15 giorni. Prima di caricare il concime sul trattore ci hanno ricordato di non aggiungervi mai segature visto che il legno per marcire ha bisogno di centinaia di anni e quindi quei tannini che lo preservano impedirebbero l’avviamento del processo di fermentazione.
Con nostro Bocashi abbiamo raggiunto l’orto della Coperativa Terra di Resilienza. Non potevamo seminare i fagioli a causa del combinato disposto della qualità del suolo e il lungo periodo di pioggia. Non si possono mettere semi in terreno argilloso bagnato: le radici non avrebbero la forza di espandersi. Allora abbiamo mischiato i Bocashi con la terra, mettendolo all’interno di piccoli filari che poi abbiamo reso irrigabili portando il tubo di irrigazione connettendolo all’impianto globale. L’unico neo era il rumore del motorino a scoppio che alimenta la pompa dell’acqua.
Siamo tornati in paese, io il solito fortunato, sul cassone del tipico mezzo di trasporto di Caselle In Pittari, guidato dal Beppe il maestro del grano che ieri ci aveva insegnato a mietere. Appena giunti siamo corsi subito alla Pro Loco di Caselle in Pittari per ascoltare Mario Festa. Ha parlato di molti progetti fatti in terre non lontane dal Cilento. Ha cercato di ridefinire il discorso sulla ruralità. Per farvi un’idea cercate Ru.De.Ri e Ri.Creare. Continuando un discorso iniziato all’orto siamo andati tutti a mangiare in piazza. E’ una cucina che amo tantissimo e tutti fanno sempre in modo di ricordarci il legame che esiste tra questa e la terra da cui deriva.
Un pò di musica, due chiacchiere al bar e subito arriva il momento “Sapiens”. Prima in piazza e poi alla Pro Loco, perché scacciati dalla solita pioggia, a parlare di comunità. La signora Pasqualina ci ha raccontato lungamente come era organizzata la vita comunitaria di Caselle in Pittari. Dario ritiene che la frase che sintetizzi meglio questo bellissimo intervento sia: “sentire l’obbligo verso i bisogni di ciascuno“, dove la parola obbligo ha qualche connotazione precisa per Caselle ma, anche nel suo significato più ampio, non muta la potenza della frase stessa. Pizza e poi tutti a letto.
Dimenticavo mi ero svegliato alle 6. Al campo di grano eravamo tra le 7 e le 8 della mattina e ho toccato il letto che era quasi l’una di notte del giorno dopo. Ho iniziato a scrivere dopo 6 ore di sonno. L’intensità delle relazioni e la qualità delle azioni fatte nella giornata è sempre stata altissima. A proposito, sto parlando del #Campdigrano, la settimana che gli organizzatori del Palio del Grano di Caselle in Pittari ci regalano, per vivere tutta l’atmosfera preparatoria di quello che è diventato uno degli eventi di riferimento, quando parliamo dei grani antichi del Cilento e delle tecniche colturali tradizionali. E’ un’esperienza troppo bella per non essere vissuta. Mi sono fermato a scrivere perdendo la giornata al campo per rammentarvi di non perdervi l’occasione di vederci domenica per il Palio. In queste poche righe non ho volutamente approfondito tutti i temi che sono venuti fuori. Vi ho descritto un solo giorno ma non disperate perché grazie ad una intelligente iniziativa del Gal Casacastra ci sono tra i protagonisti del Campdigrano un pò di reporters che stanno documentando tutto e noi ve lo comunicheremo appena diventerà disponibile. Allora ci vediamo domenica?