La Casa-Museo della Gente di Lozio

[prima...] e così ho cominciato a narrargli di Yin Xi, il comandante della guarnigione in cima al passo che delimitava la provincia di Zhou, nella lontana Cina, che secondo la leggenda chiese a Laozi di lasciare una traccia scritta della sua saggezza prima di oltrepassare il confine.
Fu così che il vecchio (lao) maestro (zi) decise di scrivere i 5 mila caratteri che compongono il Tao Te Ching, un libro molto bello che tra qualche anno lo zio ti regalerà, però tu ricordamelo, che come sai la memoria non è stata mai il mio forte.
Non ti preoccupare zio, che invece io non dimentico niente, però spero che la tua storia non sia ancora finita, perché per adesso non ho capito niente.
Tranquillo, non è finita affatto, però adesso ti tocca fare un salto assieme a me dalla Cina alla Grecia, perché dobbiamo incontrare un eroe, che forse conosci, Ulisse.
Sì, lui lo conosco.
Ecco, benissimo. Perché lo conosci?
Perché sta nei libri, perché me ne parlato Flavia, perché c’è un programma su Rai 3 che si chiama Ulisse, perché..
Aspetta, fermati, riassumiamo: sai di Ulisse perché qualcuno ne ha scritto e/o ne ha raccontato.
Diciamo di si. E invece non sapevo niente del cinese di cui hai raccontato prima perché qui in Italia i cinesi non è che siano troppo amati e perciò se ne parla poco.
Beh, più o meno, comunque il concetto è questo: esiste soltanto ciò che ci viene tramandato, a voce, con i libri, con l’arte, con il cinema, con le canzoni, con quello che ci pare.
Se il comandante cinese non avesse ‘obbligato’ il vecchio maestro a scrivere, la sua saggezza sarebbe andata perduta. E lo stesso Ulisse, persino lui, l’astuto, il polimorfo, sarebbe presto finito nel dimenticatoio se Omero non avesse raccontato le sue gesta.
Zio, quello che stai cercando di dirmi è che le persone e le cose esistono soltanto se qualcuno le racconta?
Bella domanda. In un certo senso si.
Che vuol dire in un certo senso?
Vuol dire che se ad esempio da qualche parte c’è un paese dove tantissimi bambini muoiono di fame e nessuno ne parla è come se quei bambini non esistessero. Naturalmente esistono, e muoiono, ma per me, per te, per miliardi di persone che non siano loro che stanno morendo e i loro familiari e al massimo la loro nazione è come se non esistessero.
Non è che ti sei spiegato proprio bene ma penso di aver capito. E tutto questo vale anche adesso che ci sono Facebook e Internet, vero?
Certo, non solo vale, vale di più che in ogni altro periodo della storia degli uomini. [segue..]

Sono sicuro che se lo zio passasse da Lozio,  in Val Camonica, porterebbe sicuramente Angelo a vedere La Casa-Museo della Gente di Lozio e ogni piano, quello con la cucina, quello con la camera da letto, quelli con gli attrezzi agricoli, quello del calzolaio e del banco della scuola lo utilizzerebbe come prova della validità delle tesi che ha appena sostenuto con il suo racconto. Se non esistessero ancora questi oggetti non potrebbero evocare negli anziani ricordi fortissimi della loro età dell’oro e non potrebbero stimolare in tutti noi come era la vita di quei tempi. Quando gli anziani non ci saranno più, senza queste testimonianze, tutto  finirebbe nell’oblio.

Ma è nella seconda parte dell’articolo che, Vincenzo Moretti conosciuto quest’estate al #campdigrano, dà una prospettiva a questa necessità di raccontare:  racconto l’Italia che prova soddisfazione nel fare bene quello che deve fare, qualunque cosa essa sia: pulire una strada, progettare un palazzo, costruire un ponte, cucinare il ragù come sta facendo tua madre. La mia è l’Italia delle persone normali che con il loro lavoro, con l’intelligenza, l’amore, l’impegno che mettono nelle cose che fanno, cercano di cambiare il futuro del nostro Paese e di dare più possibilità ai ragazzi come te, non so se mi spiego. Consumo le mani e le dita a furia di scrivere che abbiamo bisogno di cento, mille, diecimila, narratori, di nuvole di Omero pronti a testimoniare, raccogliere, raccontare, le storie vere che vogliamo diventino la colonna sonora delle nostre vite e del nostro futuro. E’ per questo che insisto tanto, non devo vincere nessuna scommessa, spero solo che prima o poi questa nostra Italia la possiamo raccontare tutti assieme e a un certo punto la cambiamo, la facciamo diventare più bella.[segue..]

E’ proprio così. Gli oggetti che vedete raccontano proprio questo, è vero di un Italia che non c’è più, ma se avete l’attenzione di immaginare la funzionalità che ogni singolo oggetto aveva nello svolgere il compito per cui era fatto, avrete la possibilità di apprezzare l’ingegno che ci mettevano per risolvere i loro problemi. Quelle erano le possibilità tecniche che erano date dall’ambiente sociale del tempo, ma all’interno di ogni problema quella era la miglior soluzione possibile. Se avete iniziato a guardare quel calamaio con occhi diversi potrete iniziare a pensare che cosa in realtà ci differenzia da quel periodo: l’impossibilità di essere autonomi nella soluzione della maggioranza dei nostri problemi quotidiani. E’ tutto più grande di noi. Avvertiamo chiaramente che dobbiamo delegare la nostra istruzione, la nostra salute, l’ordine pubblico, la costruzione delle automobili, l’approvvigionamento elettrico, i luoghi dove andiamo a fare la spesa, a entità così grandi che al massimo riusciamo a pensarci come impiegati di queste. Il nostro benessere è molto cresciuto ma l’abbiamo ottenuto in cambio di una socialità costruita e di una rinuncia alle nostre autonome capacità produttive.

Probabilmente non riusciamo ad immaginare una ripresa di questa nostra autonomia e la storia insegna che nulla si riproduce esattamente come era. L’evoluzione delle tecniche produttive ci impedisce di avere una reazione positiva alla possibilità che ci mettiamo al posto di quel calzolaio a fare quegli zoccoli, ma in alcuni campi questo è avvenuto e ancora Vincenzo ci da qualche indicazione: Internet. Qui siamo abbastanza autonomi per decidere quali strumenti utilizzare e come utilizzarli ed è per questo che ci invita fortemente a raccontare le storie che ci interessano di piùse tu di solito quando mangi la pasta con il sugo sporchi la tovaglia e tua sorella Flavia no, anche la volta che la tovaglia la sporca Flavia saremo tutti portati a pensare che sei stato tu. E’ qui la chiave di volta ed è per questo che noi di Ciboprossimo raccontiamo le storie che vorremmo apprezzaste e se anche voi vi riconoscerete in queste, più le diffondete, alla fine attribuiranno tutti ad Angelo la macchia sulla tovaglia.

Chiaramente non eravamo a Lozio per caso e chi ci segue lo sà. E’ da tempo che raccontiamo le esperienze che incontriamo e utilizziamo Internet per farlo. Credo che abbiate intuito che continueremo a farlo perché con la vostra attenzione ci dite che quelle storie hanno per tutti noi un significato profondo. Ho degli amici che fanno ancora il caffè con la vecchia napoletana di alluminio e so benissimo che non lo fanno per nostalgia di qualcosa che non potranno più rivivere.


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