Ieri vi abbiamo presentato il libro Cibo e Identità Locale di Michele Corti, Sergio De La Pierre, Stella Agostini oltre che per invitarvi alla lettura per stimolarvi ad incontrare gli autori, nei numerosi incontri di presentazione che stanno facendo in giro per l’Italia. Per la stessa ragione oggi vi proponiamo giusto qualche riga della presentazione che Alberto Magnaghi ha fatto a quel testo.
… come il libro ampiamente dimostra attraverso i casi analizzati, se cresce una coscienza di luogo attraverso cui gli abitanti colgono i nessi generativi fra patrimonio territoriale (latamente inteso, come patrimonio integrato di beni naturali e culturali) e produzione di ricchezza durevole attraverso la ricostruzione della comunità locale, una “società del cibo” è “naturalmente” portata a compiere un percorso di complessificazione del proprio sistema socioeconomico, a partire da un singolo prodotto agroalimentare, estendendolo creativamente ad altre cultivar locali e dal settore primario al terziario avanzato, attivando una “progettualità integrata” , mantenendo fermi i principi della coevoluzione fra insediamento umano e ambiente, fra sviluppo della produzione e sviluppo della società locale, finalizzando la crescita della prima al benessere della seconda, al suo trattare il territorio come bene comune.
In questo senso il rapporto fra sviluppo rurale (a partire dal cibo) e sviluppo locale garantisce una fase superiore dello sviluppo locale stesso nel senso di garantirne la autoriproducibilità, l’autosostenibilità, la durevolezza, il valore ecologico e bioregionalista: inducendo quello che De La Pierre chiama futuro sociale: solidarietà, gratuità, comunità e impegno sociale col volontariato, l’impresa etica, attraverso la responsabilità sociale, entro un unico “stile di sviluppo”.
Qui diviene importante il concetto sviluppato nella ricerca di sistemi agroalimentari a valenza identitaria (SALVI), che afferma la centralità del valore sociale e culturale nella produzione di cibo locale fondato sulla coscienza e sulla autovalorizzazione del patrimonio che garantisce, con la crescita di autogoverno, l’autoriproducibilità e la durevolezza del sistema locale stesso.
Il libro è stato citato molte volte da Alberto Magnaghi nella sua relazione al convegno Le 3 agricolture: contadina, industriale, ecologica. Nutrire il pianeta e salvare la terra che si è tenuto vicino a Brescia di recente a cura della Fondazione Micheletti. In attesa della pubblicazione ufficiale dei materiali ascoltate le parole dell’intervento di Alberto riprese con il mio cellulare.
Come attesta il nostro piccolo contributo, alla comunicazione del costituendo Osservatorio della Società dei Territorialisti di Milano per la presentazione del numero monografico della loro rivista “Ritorno alla Terra”, abbiamo un ottimo rapporto con la realtà milanese di questo mondo che produce analisi, scrive libri e li comunica tramite convegni.
E’ grazie alla conoscenza del loro lavoro teorico che noi di Ciboprossimo, abbiamo portato venti chili di semi autoctoni di grano saraceno tellino a Milano, perché la città lo riproduca e lo restituisca alla Valtellina per aumentarne la resa e per recuperare nuovi terrazzamenti all’abbandono. E’ un nostro fattivo contributo alla produzione di ricchezza durevole (in Valtellina) attraverso la ricostruzione della comunità locale (a Milano). I mercati contadini che contribuiamo ad organizzare, seguono lo stesso schema. Spostando la ricchezza durevole verso i territori di provenienza (Valtellina, Valcamonica, Val Curone e zone limitrofe alla città, incluso il Parco Sud) vorremmo far aumentare la consapevolezza della comunità (la città Metropolitana di Milano) sulla centralità di questi temi.
Se avete avvertito molte assonanze ma anche un certo stridio, tra la nostra interpretazione e l’esplicazione teorica, è perché i temi sono quelli che vi abbiamo riportato, ma è l’interpretazione che è diversa.
I nuovi media permettono di costruire comunità tramite contenuti indipendentemente dal luogo dove fisicamente risiedono i soggetti chiamate a comporle.
E’ per questo che negli esempi evochiamo un “locale” composto da produttori geograficamente di montagna e fruitori tipicamente in città, per costruire una “società del cibo” “naturalmente” portata a compiere un percorso di complessificazione del proprio sistema socioeconomico, a partire da un singolo prodotto agroalimentare, estendendolo creativamente ad altre cultivar locali.
Questa lontananza fisica, tecnicamente un controsenso per formare un “locale”, è analoga alla distanza che esiste tra chi sta studiando e i fenomeni che vengono osservati. A differenza del nostro caso qui, la lontananza non diviene un elemento critico, perché è convenzione accettare che l’osservante non partecipi fisicamente al processo dell’osservato.
E’ questo che noi crediamo vada ribaltato: tutti devono partecipare allo stesso processo ma perché questo succeda devono cambiare le modalità di ingaggio.
L’osservante, intrigato dal soggetto di studio, cerca di diffondere gli elaborati che produce, per fare “innamorare” delle tematiche esposte le persone che riesce a contattare. Questi ultimi d’altro canto non potrebbero avvicinarsi, se non perché già sensibili al contesto. Ma questa è già una comunità e, normalmente per definizione, non fisicamente “locale”. E’ il meccanismo di formazione e di diffusione della conoscenza che impedisce che quelli che vi partecipano, si percepiscano come membri della stessa.
C’è ancora uno iato che impedisce di riferire allo stesso piano un convegno e una semina, forse anche perché, questa cosa è vera “solo” quando parliamo di “locale”. O forse è proprio il “locale” che ci permette strutturalmente di rivedere i propri modi di essere, facendo sentire l’esigenza di far precedere un convegno dalla partecipazione ad una semina.
D’altro canto giovedì, il libro di De la Pierre, verrà presentato in un circolo Acli di Milano degustando un risotto con l’asparago rosa di Mezzago (Mb), il Bitto di Gerola Alta e lo Stracchino all’antica di Corna Imagna (BG) tre dei sei soggetti del libro. Il prossimo convegno dei territorialisti, dedicato alla montagna, è diviso in due parti: un’immersione nel “locale” della Val Di Susa e una giornata di studio, nel “capoluogo” piemontese.
Questi esempi, secondo me, sono timidi tentativi di superare il distacco citato, facendo entrare l’esperienza dentro il convegno.
Se sembra che non sia possibile parlare di locale senza “esperirlo” ma allora, perché non porre il tema in modo più radicale e vedere se le tecniche con cui ne parliamo non possono essere sostituite da alcune opportunità tecnologiche, che magari si prestano meglio a supportare questo collassamento del teorico nel pratico?
I contenuti ci sono, i soggetti attivi anche, sia dal lato produttivo che della fruizione, quello che manca sono i costruttori delle infrastrutture tecniche che abilitino il sentire comune dando senso alla comunità. E’ questo che noi stiamo cercando di fare ma ci piacerebbe che l’analisi sia fatta da, o insieme a, chi ci ha lavorato e studiato per moltissimo tempo e che gli strumenti aiutino radicalmente i soggetti a cui sono destinati.
Secondo noi c’è una distanza tra la qualità di questi percorsi speculativi e scientifici e la percezione che hanno di questi temi, sia la parte produttiva che, quelli che dovrebbero utilizzarla per orientare le loro pratiche, non solo di consumo. Rendere disponibili laddove c’è più sensibilità, cioè nelle città, sia le elaborazioni teoriche che abbiamo citato, sia le pratiche colturali più virtuose è per noi fondamentale perché i processi citati prendano il giusto abbrivio. E’ per questo che invitiamo sempre tutti ad incontrare gli autori del libro e i protagonisti delle pratiche oggetto di studio. Ed è per questo che auspichiamo che siano molti, i non addetti ai lavori, a partecipare al convegno sulla montagna. Crediamo che alle due gambe, chi osserva e studia e chi fa pratiche innovative, vada assolutamente aggiunta quella dei cittadini, per fare in modo che un nuovo mondo, in cui il “locale” sia elemento costitutivo, si formi.
redazionemaipiuragnatele
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