L’altro giorno una mia amica, scorrendo l’articolo del dailybest che vi riporto, mi racconta di questo sorridente signore inglese che si chiama David Latimer e che vive a Cranleigh nel Surrey. E’ diventato famoso grazie ad un giardino che cresce in una bottiglia, senza essere annaffiato dal 1972.
Negli anni sessanta il mercato delle bottiglie di vetro era vantaggioso, dal momento che l’industria chimica cominciava a usare la plastica. David ne approfittò per comprarsi un bottiglione precedentemente destinato ad acido solforico.
Portato a casa il bottiglione, il 17 Aprile 1960, il giorno di Pasqua, ci mise dentro del terriccio e ci calò semi di Tradescantia, era curioso di vedere come sarebbe cresciuta.
L’ultima volta che ha dato acqua alla sua erba misera era il 1972, poi ha chiuso il bottiglione e non lo ha più riaperto. Il giardino ha continuato a vivere rigoglioso grazie all’ecosistema chiuso che si era sviluppato all’interno. L’unica cosa che arriva da fuori è la luce del sole: questa permette la fotosintesi, che a sua volta genera ossigeno.
L’ossigeno produce umidità e l’umidità provvede a “innaffiare” le piante. Le foglie morte si decompongono generando anidride carbonica, anch’essa necessaria per poi ricominciare la fotosintesi. Quindi tutto si ricicla da più di quarant’anni. Ecco perché la Nasa ha pensato di mandare piante nello spazio.
La bottiglia sta nel sottoscala dell’ex-elettricista ormai ottantenne, e, nel caso dovesse sopravvivergli, ha dichiarato che l’avranno o i suoi figli o la Royal Horticultural Society.
La stessa fonte, il giorno dopo mi tira la manica, per segnalarmi una collezione di foto su Repubblica dal titolo Berlino, l’orto è nei supermercati: più freschezza e meno sprechi la cui didascalia recitava così:
Insalata freschissima, soltanto da raccogliere prima di poterla mangiare. A Berlino, nei primi mesi di attività, sta avendo successo l’idea lanciata dalla start up Infarm che propone orti all’interno dei supermercati. La catena Metro della capitale tedesca ospita infatti nei suoi supermercati delle serre dove le piante possono crescere verticalmente e con il metodo dell’idroponica insalata e erbe. Sistemate in una sorta di cubo, vengono coltivate grazie ad acqua e lampade a Led. “Immaginate un futuro in cui le città diventano autosufficienti nella loro produzione alimentare, dove le aziende agricole autonome crescono prodotti freschi e a prezzi accessibili, eliminando gli sprechi e l’impatto ambientale” è lo slogan di Infarm.
Al momento nelle serre vengono coltivate insalata e erbe officinali, ma presto anche pomodori, peperoni e altro. Si tratta di un progetto sperimentale che sarà allargato nei prossimi mesi anche ad alberghi e ristoranti con l’obiettivo di “abbattere gli sprechi” e offrire prodotti “freschissimi”. La mini-fattoria verticale chiamata “Kräuter Garten” (erba di giardino) viene monitorata grazie a micro sensori per elaborare i dati di crescita e assicurarsi le migliori condizioni della pianta: “Anche così vogliamo dare vita a una rivoluzione della agricoltura urbana” concludono da Infarm.
Vi ho riportato integralmente i testi e le foto che mi hanno permesso di “conoscere” il signor David Latimer e i fratelli Erez e Guy Galonsk per fare in modo che poteste mettervi esattamente nei miei panni. L’unico trucco che ho fatto è di mettere le due fonti una di seguito all’altra, in modo tale che, la loro lettura e l’analisi delle foto, potesse essere letta come un confronto tra due modi di essere. Attenzione le considerazioni che seguono non sono sul lavoro di David, Erez e Guy perché, non conoscendoli di persona e non potendo approfondire di più, sarebbe scorretto attribuire loro idee in modo del tutto arbitrario, ma sono solo sul materiale che abbiamo a disposizione: testi e foto. L’associazione è possibile perché stiamo parlando di piante sotto vetro: una varietà di pianta in una bottiglia verso molte varietà di piante in un contenitore di vetro. Proviamo a vedere quante cose riusciamo a mettere a confronto. Un vecchio bottiglione, rappresentante di una materia prima, il vetro, che stava andando in disuso, verso un’installazione ad alta tecnologia. Un’appartamento privato, versus un punto vendita della grande distribuzione. Entrambe le soluzioni si basano su una profonda conoscenza del ciclo delle piante, riconosciuta nel primo caso anche dalla Nasa. Ma l’uso di questa conoscenza è profondamente diverso. La prima genera un ecosistema totalmente autosostenibile, come sarebbe Gaia, la seconda, dovendo trarre ricavo dall’installazione stessa, utilizza energia esterna per bilanciare il consumo del prodotto che viene venduto. David non si pone il problema di vendere e quindi gli basta un sottoscala, Erez e Guy sono in un centro commerciale. Il sottoscala usa la luce della finestra, nel centro commerciale siamo allacciati alla rete elettrica. Il processo naturale si autoregola mentre in quello commerciale il processo è governato da macchine che lo controllano per raggiungere il massimo risultato in termini di raccolta. Nel bottiglione non possono entrare nuove varietà, nel centro commerciale entreranno tutte quelle che i consumatori gradiranno di più. A meno di non essere invitati non possiamo entrare a casa di David. Nei centri commerciali siamo di casa. Come potete vedere da altre fonti entrambe sono componenti d’arredo. Una un p0′ retrò le altre, per la loro configurabilità sanno vestire gli ambienti con un gusto che anche a me piace moltissimo. Entrambi vengono utilizzati per divulgare le proprietà veramente sorprendenti, che per fortuna stiamo riscoprendo, della natura. Possiamo apprendere le conoscenze di David solo intervistandolo, mentre i fratelli Galonsk usano quanto fanno per divulgare quelle conoscenze. David non sembra esprimere qual’è il senso della sua passione, Infarm valorizza l’idea del consumo locale, del chilometro zero, l’autosufficienza alimentare delle città e la lotta agli sprechi, temi che la comunicazione attuale ha molto a cuore. La freschezza, sinonimo tout court di qualità, è un elemento citato dal commento di Repubblica. Entrambe valorizzano gli spazi chiusi, mentre noi siamo soliti a pensare alle piante che crescono nei luoghi aperti. Entrambe non parlano delle tecniche colturali che le hanno prodotte, vuoi perché minima, la terra iniziale di David, vuoi perché asettica quella per la cella. Entrambe creano ecosistemi congruenti con l’ambiente che deve ospitarli: accetteremo di mangiare dell’insalata in un centro commerciale se fosse coltivata in un terreno vivo pieno di lombrichi? Entrambe sono opera dell’ingegno dei loro protagonisti e sono figlie dei loro tempi. Entrambe le abbiamo conosciute perché utilizziamo Internet. Entrambe le perderemo nel flusso delle informazioni caratteristico dei Social Network. Entrambe le valorizzeremo nella misura in cui diffonderemo i loro racconti. La prima manterrà il suo senso tanto più sarà in grado di resistere in vita, la seconda lo manterrà, tanto più risulterà redditizio la presenza della cella nel supermercato o quante più persone vorranno costruire giardini verticali al chiuso utilizzando le tecnologie di Infarm. Potrei andare avanti ma mi piacerebbe che mi raccontaste anche le vostre associazioni, perché la somma di tutto quello che saremo in grado di raccontarci è il linguaggio che circoscrive la nostra comunità.
Quelle che vedete sono le foto tratte da alcune fonti sul lavoro di Infarm, che danno il giusto merito alle altre installazioni citate per la loro bellezza e il loro design accattivante e intelligente.