Quello che nessuno mi aveva detto delle piccole aziende agricole: non si guadagna da vivere.

Jaclyn Moyer scrive e produce verdura nella California del Nord.

Questa mattina ho ascoltato alla radio una storia sul  numero crescente di giovani che scelgono di diventare agricoltori. Sembravano un po’ come me – tra i 25 e i 35 anni, impegnati in pratiche biologiche, laureati,  provenienti da famiglie del ceto medio e non dall’ambiente agricolo. Alcuni allevavano animali o curavano frutteti, altri, come me, coltivavano ortaggi. le giornate degli agricoltori sembravano lunghe ma appaganti, intrise di sole e sporcizia. La storia era edificante, un antidoto alle continue notizie che parlano di quello che non funziona nell’agricoltura industriale, di additivi per il cibo e infestanti resistenti agli erbicidi.

Però il giornalista non ha chiesto ai giovani agricoltori: Ce la fate a campare? Potete permettervi un affitto, l’assistenza sanitaria? Potete pagarvi uno stipendio decente? Se avesse fatto a me queste domande, avrei risposto di no.

Paolo Amato bio cavolo nero

La mia azienda si trova ai piedi delle colline della California del Nord, 40 miglia ad est di Sacramento, 10 acri che il mio partner Ryan ed io abbiamo preso in affitto da un trust. Nel caldo dell’estate i miei campi si stagliano sul paesaggio color bronzo come una trapunta verde allargata  sulla sabbia. Quattro ettari di ortaggi biologici certificati tracciano i contorni di un piccolo fondovalle.  Pomodori cremisi, fiori che sbocciano: zinnie, lavanda, margherite, cocomeri che crescono e macchiano il suolo come palloni sulla spiaggia.

Un uomo d’affari una volta mi ha consigliato di non ammettere che la mia attività avesse dei problemi “Nessuno vuole salire a bordo di una nave che affonda, sa cosa voglio dire?” aveva detto. Allora ero d’accordo, credevo che un’attività fallisse perché l’imprenditore non era abbastanza abile o di buonsenso, o non si impegnava a sufficienza. Se la mia azienda non produceva profitto sufficiente, era colpa mia.

Ogni volta che un cliente chiedeva come andavano le cose rispondevo: “Alla grande”. Pensavo alla storia della nave che affonda , e non ho mai detto “Beh, sbarchiamo il lunario, ma lavoriamo 12 ore al giorno, 6 giorni a settimana, e ci paghiamo solo quello che ci serve per coprire le spese alimentari e per la casa:  100 dollari a settimana”. Non ho detto a nessuno che nel corso degli ultimi tre anni, da quando Ryan e io abbiamo avviato la nostra azienda,  avevo consumato la maggior parte dei miei risparmi. Non ho ammesso che l’unica cosa che teneva a galla l’azienda erano i soldi guadagnati con altri lavori – Ryan lavora come carpentiere e io come fornaia. Non ho detto che, nonostante i miglioramenti che abbiamo apportato al terreno (la quantità di compost sparso sul terreno, i mille dollari che abbiamo speso ogni anno per le sementi delle colture di copertura per aumentare la fertilità del suolo, i diserbi manuali) non abbiamo capitalizzato nulla, perché non possediamo la terra. Non ho detto che mi sentivo come se stessi cercando di riempire una vasca da bagno con lo scarico aperto.

Marco Cuneo Sementi Antiche - I Pomodori Cuore di Bue

Un pomeriggio, un collega contadino che era venuto a trovarmi mi ha chiesto come stavamo andando, e questa volta ho detto la verità. Il contadino mi diceva che lui era in attività da quasi un decennio e l’anno precedente aveva fatto il massimo: 4.000 dollari. Ho tirato fuori un sacco preoccupazioni, gli ho detto come avrei fatto e che il futuro non sembrava molto più redditizio. Il contadino si limitava ad annuire, come se gli raccontassi quello che avevo mangiato a colazione la mattina e non gli stessi rivelando il segreto vergognoso della mia attività in perdita. Più parlavamo e più cominciavo a chiedermi cosa conoscevo degli altri agricoltori.

Mi chiedevo come molti piccoli agricoltori in realtà riuscissero a vivere. Prima  di provare a rispondere a questa domanda, ho dovuto definire cosa significa “vivere”. Ho deciso che dovevano essere rispettati tre requisiti  1) Il contadino doveva pagarsi un salario settimanale che è pari al salario minimo di una persona che lavora a tempo pieno, che nella mia città sarebbe $ 360 per settimana. 2) Il contadino doveva rispettare le leggi sul lavoro, ciò significa nessun lavoratore non pagato o stagista con compiti essenziali nell’azienda. 3) Il contadino doveva guadagnare dal suo reddito agricolo, il che significava che non contavano le fattorie senza scopo di lucro che sopravvivono solo con sovvenzioni e donazioni  e nemmeno le aziende agricole che si sostengono con fonti di reddito esterne.

Ho parlato con tutti i contadini che conoscevo, ho considerato le aziende agricole in cui io o il mio compagno avevamo lavorato in passato, le aziende agricole che avevo visitato, le fattorie di amici. La maggior parte degli agricoltori con cui ho parlato, per tenere in piedi le loro aziende fanno un altro lavoro, altri hanno un reddito che hanno calcolato essere di 4 dollari per ora lavorata, e la maggior parte dipendono da stagisti, volontari o WWOOFers per le attività lavorative. Non ho incontrato un singolo agricoltore che soddisfacesse le mie condizioni.

Poi ho consultato le statistiche nazionali. Secondo i dati USDA a partire dal 2012, le aziende agricole di medie-dimensioni come la mia, con ricavi di più di $ 10.000, ma meno di $ 250.000, ottengono solo il 10 per cento del loro reddito familiare dalla fattoria, e il 90 per cento da una fonte fuori azienda. Le aziende più piccole in realtà hanno perso denaro in agricoltura e guadagnato il 109 per cento del loro reddito familiare da fonti esterne. Solo le aziende agricole più grandi, che rappresentano il 10 per cento delle famiglie agricole nel paese e la maggior parte delle quali hanno ricevuto grandi sussidi governativi, hanno guadagnato la maggior parte del loro reddito da fonti agricole. Così, per il restante 90 per cento degli agricoltori in questo paese il reddito primario si basa su un lavoro esterno, proprio o del coniuge, o su una qualche forma autonoma di ricchezza.

Exponymi - Pomodori Black Cherry

Un giorno durante la mia seconda stagione alla fattoria,  mentre mi trovavo dietro il bancone a sciacquare le carote per eliminare il fango, è entrato un cliente e mi ha chiesto come stavano andando le cose, “finanziariamente, voglio dire”. Teneva un cespo di lattuga nell’incavo del braccio mentre dalla sua mano penzolava un mazzo di ravanelli rosa .

L’ho guardato e invece di rispondere come mio solito “alla grande”, ho detto, “Tiriamo avanti”. Lui ha annuito:” Beh, non fate un sacco di soldi, ma siete ricchi in un altro modo”. Ho aperto la bocca per rispondere, ma l’uomo si era già allontanato e guardava sognante i miei campi, nel sole del tardo pomeriggio. Mi sono girata verso il mucchio di carote, non sapendo comunque cosa dire.

Volevo chiedergli cosa intendesse esattamente con “altri modi”, ma sapevo che cosa voleva dire. Ho sempre sentito questo genere di cose: Dovete amare quello che fate, oppure, non c’è molto da guadagnare in agricoltura, ma che grande stile di vita, o ancora, beh, non siete qui per i soldi, giusto? I clienti ripetono questi luoghi comuni, nel tentativo di offrirmi qualche consolazione o incoraggiamento, ma osservando lo sguardo di quest’uomo verso i miei campi, non ho potuto fare a meno di chiedermi se fosse il cliente a dovere essere consolato.

Sicuramente molti agricoltori amano il loro lavoro, come spesso trovo piacere nelle mie attività quotidiane, ma in ultima analisi l’agricoltura è lavoro, una professione, un modo per guadagnarsi da vivere che deve soddisfare la funzione di base di un impiego: fornire un reddito. L’idea che l’agricoltura sia un lavoro amabile giustifica forse il fatto che l’intero settore si regga sul lavoro sottopagato? Rende accettabile in qualche modo che per il 2014 si preveda una diminuzione di 1682 dollari? Ho dovuto chiedermi se questa idea serva solo a placare un disagio collettivo provocato da un fatto inquietante, un fatto che ci deve ci dovrebbe fare infuriare, che ci dovrebbe fare vergognare come società: il fatto che il tanto celebrato piccolo agricoltore americano non può nemmeno guadagnarsi da vivere.

***

Poche settimane dopo ho fatto una presentazione in una scuola superiore locale, l’insegnante di sistemi alimentari mi aveva chiesto di parlare con la sua classe di cosa significhi essere un agricoltore biologico. Dopo aver finito il mio discorso l’insegnante si è rivolta alla classe. “Allora, quanti di voi pensano di poter prendere in considerazione una carriera in agricoltura dopo la scuola superiore?” Nessuno  ha alzato la mano.

L’insegnante ha controllato sopra le teste degli studenti per qualche istante, come se esaminasse l’oceano alla ricerca di balene, come se da un momento all’altro una mano potesse alzarsi. Nessuno lo ha fatto. Poi mi ha guardato e mi ha offerto un simpatico mezzo sorriso, mezza smorfia, come se il conteggio fosse finito e io avessi appena perso le elezioni.

Ho alzato le spalle, lei non doveva scusarsi con me, non mi aspettavo che gli studenti volessero diventare agricoltori. “Credo di non averlo fatto sembrare troppo attraente” ho detto. E non l’ho fatto – non ho romanzato le mattine presto in campo o esaltato i benefici del lavoro fisico per la salute. Avevo detto la verità: ho coltivato 10 acri di ortaggi biologici, lavorato fino a 60 ore a settimana durante il culmine della stagione, e il mio reddito totale l’anno scorso è stato di 2451 dollari. La maggior parte dei ragazzi probabilmente hanno guadagnato di più con un lavoro estivo. Avevo detto loro come la maggior parte posti di lavoro in agricoltura biologica siano in realtà “stage” in cui i lavoratori ricevono cibo o alloggio al posto di uno stipendio, oppure posti di lavoro sottopagati e dannosi nelle aziende agricole convenzionali in cui i lavoratori vengono assunti stagionalmente, guadagnano il salario minimo o anche meno, senza altri vantaggi.

Tornando a casa dal liceo mi chiedevo se forse avessi dovuto mettere l’agricoltura in una luce più positiva. Dato che l’età media del contadino americano si avvicinava a 65 anni, sapevo che in questo paese i giovani agricoltori sarebbero necessari. Avrei fatto male se avessi raccontato della sera in cui un grande airone bianco che è atterrato  in campo, a un metro da me? Del corpo dell’uccello più alto di me, accovacciata tra le file di cavoli, del suo collo che si muoveva come un serpente, strisciando verso l’alto in modo che potesse guardarmi. E quando l’airone ha dispiegato due ali bianche e si è sollevato verso il cielo, un soffio di vento spingeva contro la mia guancia.

Oppure avrei potuto descrivere la gioia di prendersi una pausa in campo durante il raccolto in una mattina di estate per tagliare un cocomero, come la polpa rosa del frutto rimanga leggermente fresca all’interno della sua buccia spessa nonostante il calore del giorno, e come ho scavato il cocomero con un cucchiaio da tasca e ne ho mangiato metà.

Naturalmente lo stile di vita di un contadino ha i suoi vantaggi, ma non era questo  il punto. Sicuramente ci sono un sacco di professioni che offrono momenti di gioia e soddisfazione, sicuramente il medico, il biologo della fauna selvatica, lo chef, o meccanico, godono a volte del loro lavoro. Ma nessuno si aspetta che queste persone si accontentino di queste soddisfazioni come retribuzione.

Quando uno studente ha chiesto se la mia fattoria era sostenibile, ho detto che era certificata biologica, che ho gestito la fertilità del suolo attraverso la rotazione delle colture e le applicazioni di compost, non ho usato pesticidi sintetici, conservavo acqua. Ma, ho detto, non pensavo che la mia fattoria fosse sostenibile. Come tutte le altre aziende che conoscevo, la mia azienda è basata sul lavoro non ricompensato e sull’auto-sfruttamento. La mia azienda non era sostenibile, perché sapevo che gli anni in cui il mio compagno e io avremmo potuto continuare a lavorare senza un reddito passabile erano contati.

Principe di Fino - Prugne

Una sera, mentre facevo commissioni in città, ho riconosciuto una cliente che camminava sul marciapiede verso di me. “Ehi” mi ha detto “oggi ho guidato fino alla vostra azienda, sembra bellissima, con tutti quei fiori che sbocciano”. “Grazie” ho risposto. “Mi piace che ci sia una fattoria biologica nella nostra comunità”  ha continuato “penso solo che tutto questo movimento del cibo sia fantastico”. Mi sono immaginata questa donna che cammina nella mia fattoria, con un pomodoro nel palmo della mano, ammirando la lucentezza di ogni melanzana viola. Forse sceglie due zucchine e una manciata di jalapenos. Prima di tornare in macchina guarda i campi, le file ordinate di insalata mista e cavoli; poi se ne va sorridente, guardando i miei campi salire e scendere nel suo specchietto retrovisore.

La mia azienda è diventata un cartellone pubblicitario, e come tutti i cartelloni pubblicitari, è ingannevole. Raffigura abbondanza e prosperità – due giovani agricoltori sorridenti, al lavoro tra i filari di verdi sotto il sole di una mattina frizzante, che riempiono casse di prodotti, tutti raccolti freschi e privi di sostanze chimiche di sintesi. Nonostante tutti i discorsi sulle piccole aziende che scompaiono, nonostante le preoccupazioni che l’agroindustria controlli il nostro cibo contaminando tutto con gli OGM e irrorando tutto di RoundUp, passando dalla mia fattoria si potrebbe tirare un sospiro di sollievo, pensare che ci sia una piccola fattoria proprio lì, dove si può andare e prendere un sacco di cavoli biologici, osservare un tordo che riposa su un ramo di fico, notare una macchia di erbacce che crescono tra le lattughe.

Nel frattempo, milioni di dollari in sussidi federali sono allocati alle aziende agricole che fanno monocoltura ad alto impatto, mais e soia OGM. Nel frattempo, l’EPA continua ad approvare l’uso di pesticidi, come l’atrazina, che sono stati collegati a malformazioni, infertilità e cancro. Nel frattempo, la Corte Suprema decide a favore della Monsanto, permettendole di citare in giudizio i contadini i cui campi sono inavvertitamente contaminati con semi OGM. Nel frattempo, Ryan e io setacciamo Internet alla ricerca di una nuova opportunità, quella che ci possa fornire un reddito sufficiente per l’assicurazione sanitaria il dentista, per prendere il nostro bambino che sta per nascere e portarlo in viaggio a trovare i nonni, per risparmiare un po’ di denaro ogni anno, in modo che un giorno potremmo essere in grado di acquistare un pezzo di terra, e forse,  allora, tornare all’agricoltura. Non importa quanti sono i giovani che scelgono l’agricoltura, quanti mazzi di cavolo diventano zuppe, quante sono le borse della spesa di tela piene di carote colorate e di lattughe merlettate, non importa quanti  nuovi ristoranti dichiarino materie prime “dalla fattoria alla tavola”, la verità è che nessuna di queste cose indirizza le politiche che dettano come funziona il sistema alimentare del nostro paese, le politiche che hanno creato una società in cui il piccolo agricoltore non può nemmeno guadagnarsi da vivere.

Ho sorriso alla donna in strada. “”Grazie” le ho detto, ed entrambe abbiamo continuato nelle nostre direzioni.Poi la donna ha dato un’occhiata sopra la spalla aggiungendo “spero che l’azienda rimanga qui per sempre. Spero che tu non te ne vada per un lavoro vero” Mi è scappata una risata troppor rapida e troppo forte “Non ti preoccupare” ho detto senza voltarmi per non affrontare la donna, sperando che non sentisse l’incertezza nella mia voce “non lo farò”.

***

Un quarto di miglio lungo la strada dalla mia fattoria e la terra sale quanto basta per permettermi di guardare dall’alto in basso il complesso delle mie attività – i campi, le serre, il fienile. A volte, quando sto passando di qui in auto, esco della vettura e mi appoggio al cofano. Guardo la mia fattoria, i filari di pomodori e peperoni, noto che il cardo è cresciuto alto attorno alla linea di recinzione, il convolvolo si arriccia intorno ai denti in acciaio di un attrezzo per trattore inutilizzato. Mi chiedo quanto tempo ci impiegherebbe il paesaggio per cancellare la mia azienda, se semplicemente me ne andassi via, se domani smettessi di coltivare, se nessuno zappasse tra le file di cipolle o falciasse il cardo, se nessuno raccogliesse il grano o i meloni o la zucca, nessuno seminasse le colture di copertura in autunno. Il cardo fiorirebbe, ogni fiore farebbe cadere una dozzina di semi gialli nel terreno come aghi in un puntaspilli, gli scoiattoli aspetterebbero che i meloni siano maturi e le zucche arancioni, per poi portarli via pezzo dopo pezzo. I bordi ordinati di ogni parcella si mischierebbero alle erbacce striscianti fino a quando i 10 acri apparirebbero di nuovo indivisi, solo un campo incolto.

Forse un altro giovane agricoltore rileverebbe il mio contratto di locazione, acquisterebbe le serre e l’attrezzatura per il trattore, le linee di irrigazione e le pile di contenitori per la raccolta. Forse funzionerebbe meglio o più a lungo, o forse anche lei se ne andrebbe dopo solo qualche anno.

Nostra traduzione da Salon.com


24 Comments

Leggendo questo articolo mi è venuto un groppo alla gola, perchè esprime esattamente l’esperienza mia e di mio figlio. Dopo 3 anni ringraziamo il cielo per aver mantenuto lavoretti in ambiti non agricoli, Altrimenti ora saremmo alla miseria. Ho buttato tutti i miei risparmi, sono affogato da pratiche burocratiche, ho lavorato più e peggio degli antichi schiavi… per fare ricavi ridicoli, che con lo stesso tempo, facendo le pulizie delle scale, avrei gudagnato in misura tripla.
Quando sento qualche trasmissione che parla del ritorno dei giovani in agricoltura mi viene un senso di vomito. Perchè è la riprova che la società dello spettacolo vive sui propri sogni senza mai realmente confrontarsi con la realtà. In tre anni di lavoro in agricoltura e di studio sul tema ho maturato molte idee su come le cose dovrebbero andare e potrebbero andare meglio. Ma rinuncio persino a dirle perchè vedo che il mondo agricolo è in mano al meccanismo mortale delle parti sociali (coldiretti, Cia e confcoltivatori) e non c’è modo di mettere in agenda i problemi veri. Perchè si dovrebbe parlare di globalizzazione, di un uso diverso dei fondi Europei, e così via. Cose troppo grosse, che nell’epoca del pensiero unico non ci possiamo permettere di dire. Amen

Temo che i 3 requisiti richiesti nell’articolo non siano l’obiettivo corretto da perseguire. Il discorso andrebbe impostato secondo me in maniera differente. Sappiamo che l’agricoltura su larga scala puo’ funzionare solo con grande apporto di energia esterna, tramite lavoro effettuato con macchine che vanno a combustibili fossili, tramite prodotti chimici che svolgono il lavoro di diserbare, uccidere gli infestanti, fertilizzare. E tutto questo e’ sostenuto da sussidi pubblici, come evidenziato.

Ecco, se vogliamo convivere pacificamente con questo pianeta, ovvero se vogliamo mangiare senza distruggerlo, aggravando il cambiamento climatico, etc. tutto questo lavoro andrebbe fatto senza industria chimica e petrolifera. Al momento non conosciamo molti metodi che siano in grado di farlo, quelli che conosciamo o non funzionano o diventano per qualche aspetto insostenibili (in senso ecologico) a grande scala (ad esempio appoggiandosi ad un sistema di distribuzione insostenibile).

In altre parole davanti a noi si pone un grosso dilemma: continuiamo a produrre cibo in maniera industriale – inquinando, erodendo, distruggendo biodiversita’, senza neanche poi sfamare tutti – oppure ci si rende conto delle conseguenze di cio’ che si mangia. Ad esempio ci si accorge che se non ci si prende la propria responsabilita’ per produrre da se’ un cibo buono, si pretende che ci sia qualche schiavo che e’ disposto a farlo per gli altri ( e che anche volendo ci puo’ riuscire per un numero di persone limitato).

Ma cosa accadrebbe se invece di produrre per tutti, i coltivatori cominciassero a produrre solo per loro stessi? Chi sopravviverebbe su questo pianeta con il crollo del sistema di trasporti che riempie i supermercati e che si regge per il 95% sulle limitate risorse petrolifere?

Nell’articolo si legge tutto il rammarico di non poter approfittare come il resto del mondo di tutti i vantaggi che accompagnano una vita insostenibile. Vantaggi che appaiono sacrosanti, ma che purtroppo per la loro caratteristica sono destinati ad esaurirsi e gia’ oggi sono a disposizione di una minoranza della popolazione mondiale.

La scelta non e’ solo per soddisfare un piacere bucolico, ma per scendere da un treno in corsa verso un burrone. Scendere dal treno e pretendere di andare altrettanto veloce e’ illusione, come quella di chi ci rimane sopra, pensando di arrivare molto piu’ lontano.

Purtroppo avere fede e credere in un mondo dove l’economia non prevalga sull’umanità è difficile. Alla fine penso che se ciò non succederà ci estingueremo, pazienza la natura si potrà liberare del suo parassita peggiore. La Terra e le sue risorse sarebbero un paradiso per tutti, se solo pochi ne devono possedere la maggior parte, Dio ci aiuti.

Non facciamoci ingannare.
I sistemi ci sono per vivere in modo sostenibile senza nemmeno stravolgere le nostre abitudini, ma non si adottano “solo” per mere convenienze economiche di pochissimi individui che dirigono senza alcuna lungimiranza le 150 società che controllano ormai tutto, informazione e politica comprese.
Se si cambiano i dirigenti di quelle 150 multinazionali il problema si risolve.
In fin dei conti, rispetto a noi 7 miliardi di poveri cristi sono solo solo 4 gatti
“semplice” no? ;’)

http://www.repubblica.it/economia/finanza/2012/01/02/news/rete_globale_controllo_societario-27490188/

questa tua risposta rispecchia esattamente il mio punto di vista e la scelta divita che ho fatto. Valle Libera é il progetto di autosostenibilitá che stiamo portando avanti proprio per scendere da questo treno : )

Che peccato……è la stessa sconsolante sensazione che abbiamo mio marito ed io leggendo articoli che riguardano il mondo della giovane agricoltura….noi siamo pensionati e coltiviamo il ns orto in modo biologico/ biodinamico/ sinergico, un misto per cercare di non inquinare e mangiare sano… speriamo in un mondo migliore!

mi auguro che riesci a resistere e a considerare la possibilità di affrontare la questione con persone che abbiano il tuo stesso interesse e la stessa visione

Probabilmente se ci fosse un adeguamento dei prezzi al mercato corrente gli agricoltori avrebbero meno difficoltà, il prezzo del frumento è fermo a 25 anni fa, le persone sono disponibili a spendere follie per l’ultimo smatphone, ma trovano del tutto naturale sottopagare il cibo, c’è qualcosa che non torna. L’agricoltura non si reggerebbe senza contributi europei e questo la dice lunga su un mercato che la definisce bene primario solo a parole.

E inoltre siamo in surproduzione, una parte del raccolto dei produttori estensivi va all’immondizia prima di arrivare alla grande distribuzione, e un’altra buona parte viene gettata dai supermercati.
La parte sfortunata del pianeta soffre la fame e vive in baracche di lamiera, a noi chiedono di lavorare come asini per comprare alimenti di cui son pieni i cassonetti e per pagare affitti insostenibili quando ci sono case vuote a ogni angolo.
Viva il capitalismo.

Bell’articolo. Lavoro nel settore e sono anche agricoltore in una piccola azienda agricola, che al momento, mi vado raccontando, deve crescere per essere sostenibile. E sono convinto che lo sarà. Abbiamo operai pagati a paga sindacale e solo noi, tre soci, al momento lavoriamo a beneficio del capitale. Ma c’è una cosa che non mi torna nella testimonianza. La ragazza parla di 10 acri di orticoltura e 2.451 dollari l’anno di reddito l’anno, che se ne fa altrettanto il compagno Ryan, sono 5.000 dollari. Se diciamo questo rappresenta un margine ragionevole del 20% sul fatturato totale, vuol dire che l’azienda fattura 25000 – 30.000 dollari l’anno. Ovvero meno di 10.000/ha. Questo è il fatturato (o PLV per i puristi) di aziende convenzionali che fanno orticoltura industriale da noi. Preso da un altro punto di vista, se io ho 4 ha di ortive, coltivate anche biologicamente, anche non intensive, mi attenderei una media di 12.000-15.000 kg/ verdure fresche per Ha, come minimo (es.: in convenzionale un ettaro di pomodori fa 30.000 kg, uno di patate 45.000 kg, un ha di cavolfiore 15.000 kg, bietole 25.000 kg, e cosi via). Se io le vendo direttamente per il 50% vuol dire che me le pagheranno 2,5 dollari/kg ovvero il mio fatturato sarà solo dalla vendita diretta di 75.000 dollari. Se il resto lo vendo nei negozi e nella distribuzione mi daranno un dollaro/kg e quindi avrò altri 30.000 dollari e quindi un totale di 105.000 dollari dal quale avrò almeno un 25.000 -30.000 dollari l’anno. Questo obiettivo è il minimo ragionevole e se non lo raggiungono vuol dire che producono poco, pagano troppo di affitto o hanno delle spese di materie prime esagerate. Per il resto devo dire che concordo molto con la visione di tanti che si avvicinano all’agricoltura nella speranza di una migliore condizione di vita, ma che dissociano la cosa dal reddito. La condizione di vita dell’agricoltore è impagabile, diciamolo, ma in tutti i sensi. Occorre aggiungere valore e creare redditi integrativi e non si può lasciare il lavoro di bancario pensando di fare l’agricoltore con lo stesso tenore di vita. E’ un percorso di decrescita, è un percorso etico e morale, se non si capisce il significato profondo dell’essere contadino, non lo si diventerà mai.

Ti ringrazio AGRIMENSOREKAPPA (qual’è il tuo nome?) per il tuo commento, per me molto utile. Sui numeri che dai mi piacerebbe approfondire per capire a livello previsionale come si ragiona in agro economia. Non sarebbe male costruire una specie di business plan standard (es. su 1 a 5 HA) di ortive e piccoli frutti (che sono i prodotti sui quali sto puntando). Così come è interessante capire se e come valutare il costo dell’affitto o della rendita del terreno acquistato. Inoltre, vedo che ci sono costi di struttura (es. serre o reti antigrandine), e di macchinari (un trattorino da frutteto costa 35mila euro i.i.) che sono molto pesanti ed i vari PSR nuovi non mi aiutano di certo forse il nuovo bando INAIL agricoltura potrà darmi una mano). Detto ciò sono veramente felice che riesci a pagare gli operai con paga sindacale. Mi accontenterei per me stesso di 5 euro ora per il lavoro che faccio. Ma al momento sono lontanissimo dall’obiettivo. E’ giusto inquadrare le cose nell’ottica della decrescita e di un diverso stile di vita. Ed in effetti io non ci penso proprio di smettere l’agricoltura. Soltanto vedo che è più difficile di quanto pensavo e che le leggi, le imposte e la burocrazia non aiutano per nulla. Ciao e grazie

AGRIMENSOREKAPPA è una ciofeca,ha scritto tutte cazzate se esiste davvero mi dia l’indirizzo e ci incontriamo a quattrocchi, o se preferisce viene a trovarmi nella mia azienda
Via Pignette 12 Pontinia LT (Andrea Mastrodomenico), nel’agro pontino, e ci facciamo un giro tra agricoltori veri , cosi si rinfresca un po le idee.

Caro Sig. Mastrodomenico, dica dica pure le sue idee e i suoi conti quali sono, sempre se ne ha mai fatti o se li sa fare. Perché a spacconare senza dire, mi sa tipico di molti agricoltori che piangono (e fottono) con uno o due milioni di capitale investito sotto il sedere, ma non mettono insieme il pranzo con la cena. Io i conti, per quanto approssimativi li faccio, e sono quelli. Se poi qualcuno fa i pomodori o i cocomeri per la GDO e prende 15 o 20 centesimi al Kg, non è colpa della categoria, ma di chi ancora ragiona come un mezzadro e non come un imprenditore. E per me l’agricoltore vero è un imprenditore, e ce n’è davvero pochi. Ma non vado oltre, magari lei è uno di quelli che su un ettaro ci fa 100.000 euri… Dica dica, io non ho tempo di venirla a trovare e men che meno voglia di incontrarla.

Ritrovo madre natura

un pò troppo da manuale il tuo ragionamento quando parli di reddito e costi, ma il resto ci sta tutto. In ogni caso c’è da tenere presente che ci sono altre opportunità di reddito in un azienda agricola… preparare pasti in agriturismo, una piccola linea di conserve artigianali da rivendere, la fattoria didattica, la vendita di animali (galline, maiali, conigli, etc), equiturismo, etc etc… e di queste opportunità l’articolo non menziona alcuna.
da me in calabria ci sono due aziende che fanno buon reddito con due serre coltivate solo a zucchine da fiore, e vanno benino, oltre alla vendita diretta.
Meditate gente, anzi studiate, informatevi, con coraggio attivate nuovi progetti e sperate lavorando anziche piangervi addosso attirando sfiga ulteriore!!!! un cordiale saluto…

La soluzione e di trovare un tutto fare in pensione,chi si integra con le sue mani e la sua pensione,per alontonarsi della sua solitudine,perque vedovo.Fare il nonno o padre della azienda.

Rivedo la mia identica situazione in Italia puglia ,nonostante la nostra esperienza nel settore agricolo , dai guadagni a volte non riusciamo neanche a pagare le spese aziendali e’ una triste realta ‘ se penso che il meglio dei frutti deriva proprio dalle piccole aziende che ci mettono l’anima e il cuore in quello che fanno.

Io non sono completamente d’accordo con quanto scritto nell’articolo, essendoci passato ed essendoci immerso tutt’ora.
Penso che il modello di agricoltura vincente sia quello familiare.
7 anni fa aprii un’azienda agricola convertendo una passione che avevo un hobby in un’attività imprenditoriale. Mi sono trovato nelle stesse condizioni di quanto sopra.
Avevo investito tutta la liquidazione dell’az.che aveva chiuso per creare un laboratorio a norma per determinate lavorazioni (smielatura e conserve), in uno spazio di famiglia dove non sono proprietario, ma per fortuna non ho affitto. Ho praticamente rasato al suolo il conto in banca e non avevo più soldi per fare investimenti… ma prima di fare ciò ero riuscito a malapena ad aprire un prestito agevolato…
La mia situazione era assolutamente insostenibile.
Lavorava mia moglie come dipendente per fortuna, avevamo una bimba piccola. Ad un certo punto vado anche io a lavorare, mantenendo una condizione che mi garantisse una sorta di doppio lavoro.
Non accettavo la cosa e cominciai a ragionare su quale fosse il problema…
Molto semplice. Premesso che ero sempre da solo, ero inoltre molto illuso di saper fare tutto. Non tanto i lavori manuali, quanto la pratica commerciale. Perchè se il prodotto ce l’hai e vedi che funziona, lo devi sapere vendere.
Capitò a fagiuolo che mia moglie fosse in crisi col suo lavoro e discutemmo affinchè rilevasse lei l’attività. Lo scopo è quello di mischiare abilità e competenze e come titolare lei è stata ed è molto meglio di me.
Abbiamo tante spese, vero e io mantengo un secondo lavoro, ma la sua redditività non è affatto diminuita, anzi… Ha in essere anche lei un prestito che si sta egregiamente pagando, così come INPS e IVA.
Da che era in regime di esonero, in 12 mesi è passata al forfettario.
Si sbatte un casino a fare mercati, degustazioni, cercare canali, vendite web… E soprattutto, ora causa covid è ferma, ma tante sono state le attività didattiche che pre covid garantivano una buona redditività.
I lavori manuali li facciamo in 2 senza dipendenti.
La visione dell’articolo è quella bucolica dove in molti cascano quando si buttano per la prima volta o facendo gli agricoltori dal nulla o facendo gli imprenditori dal nulla. Bisogna avere secondo me l’umiltà di ammettere di non saper fare tutto. E io questa cosa non la vedo.
La mia di donna ha sicuramente una marcia in più, ma sicuramente il discorso può essere ribaltato per altri casi.
Abbiamo iniziato a parlare di marginalità dei prodotti che vendiamo. Perchè invece di allevare o coltivare o far fare lavorazioni fuori, prima di tutto bisogna mettersi davanti al computer e saper fare i calcoli. E vedere nero su bianco cosa conviene fare e cosa invece ci fa perdere. Chi, al giorno d’oggi va fiero di dire “eh, io son contadino, non son portato per il computer”, allora non facesse l’imprenditore agricolo, ma solo il bracciante, altrimenti soccombe e scrive articoli come quello sopra.
La chiave di svolta c’è. Se non hai fortuna di avere aziende già avviate prese in subentro o cedute in eredità, la matematica è la soluzione.

Leave a comment

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.