Dalle notizie che ho, credo che siano veramente tanti i miei amici che stanno trascorrendo le vacanze in Sicilia. Quando ho letto questa notizia, non ho potuto fare a meno, immaginandoli su una spiaggia o in una bellissima città d’arte, di accostargli l’immagine di un bicchiere freddo straripante di schiuma colmo di Birra dello Stretto, Doc 15 e Cruda 15 del Birrificio Messina.
Sembra che sia appena tornata nei bar e, a giudicare dalla storia che ho raccolto, è veramente una parabola moderna dell’economia locale. Quando tutti gli stakeholders di un territorio si fanno carico di risolvere un problema, sembra che vengono trovate le risorse e i lavoratori che credono nelle loro capacità possono continuare a produrre. Ecco l’immagine delle birre. Aspetto di vedere le foto delle etichette sulla nostra pagina come prova della vostra voglia di approfondire questi temi.
La birra del Birrificio Messina sembra non sia tornata solo sui banconi dei bar siciliani ma potenzialmente, grazie all’on line, su quelli di tutto il mondo. Per rilanciare la birra artigianale di Messina, realizzata con un’arte che i mastri birrai si tramandano da generazioni, la nuova proprietà ha scelto infatti l’e-commerce accanto ai canali tradizionali di vendita.
Dopo cinque anni di buio e cassa integrazione, nella città dello Stretto, riparte la produzione grazie alla tenacia di 15 operai mastri birrai, rimasti senza lavoro nel 2011, che hanno vinto una scommessa. Sono diventati imprenditori di loro stessi, creato una cooperativa con il loro Tfr, ricercato canali di finanziamento, elaborato un piano industriale da 3,2 milioni di euro e dopo un accordo con la Regione sono riusciti a ottenere in concessione i terreni dove collocare gli impianti. A Messina il birrificio ha riaperto il 29/7. In 3 mila hanno preso parte all’inaugurazione e tra lacrime e commozione, gli operai quasi non ci credevano. Da metà settembre la ‘loro birra’ sarà di nuovo sul mercato con le etichette Birra dello Stretto, Doc 15 e Cruda 15. Nella città dello stretto, dove i disoccupati sono oltre il 30%, la produzione di birra risale al 1923, allora fabbrica era di proprietà della famiglia Lo Presti-Faranda, che l’aveva fondata. Poi nel 1988 è cominciata l’era della Dreher Spa di Milano, poi divenuta Heineken Italia. Nel 1999 lo stabilimento comincia ad essere utilizzato solo come impianto di imbottigliamento, nonostante producesse circa 500.000 ettolitri di birra l’anno, gran parte dei quali destinati al mercato siciliano. Otto anni dopo comincia la crisi. Heineken dice addio alla Sicilia. E poco dopo anche il progetto di alcuni imprenditori che avevano rilevato la fabbrica e i 41 operai per produrre la birra Triscele fallisce. “Cinque anni fa – racconta il neo presidente della coop Birrificio Messina, Mimmo Sorrenti, 58 anni, siamo rimasti senza lavoro, sono cominciate le proteste. Solo 15 lavoratori hanno deciso di creare la Coop e tornare a produrre, investendo 600 mila euro: il nostro Tfr. A Messina – aggiunge – non c’è lavoro per i giovani, chi perde il lavoro a 50 anni non ha futuro.
L’unica risorsa era l’esperienza. Il mestiere di mastro birraio qui si tramanda da generazioni. “. [Prosegui Ansa… ]
Accanto al Tfr dei quindici lavoratori si affianca, in questa eterotopia, la Fondazione di Comunità di Messina che dal 2010 opera sul territorio per l’inclusione sociale e lo sviluppo locale. Sostenuta dalla Fondazione con il Sud realizzata con fondi delle fondazioni di origine bancaria in accordo con il terzo settore ed il volontariato. Fondazione e Cooperativa realizzano una pianificazione economico-finanziaria del nuovo birrificio. Partendo da questo piano industriale la fondazione riesce a coinvolgere investitori e finanza specializzata per circa tre milioni di euro, che vanno ad integrare il capitale proprio dei quindici lavoratori per coprire il fabbisogno di questa nuova start-up (capannoni, impianti, materie prime). Non esistono solo le start-up tecnologiche da raccontare, ma anche le start-up da sopravvivenza. Nella logica dell’economia civile la fondazione lancia un piano di comunicazione sociale finalizzato ad attivare un fondo partecipativo. Attiva una domanda locale che “sceglie la propria birra” perché di qualità, perché ha prezzi competitivi e perché restituisce lavoro e dignità ai quindici lavoratori. La campagna genera ordini per oltre sessantacinquemila ettolitri. Nel piano d’impresa, simili volumi di vendita erano previsti a regime dal quarto anno di attività del birrificio. Si riparte dalla comunità, dalla coscienza di luogo né per rinserrarsi, né per lamentarsi, né pensando ad un prosumerismo autarchico, ma aprendosi alle reti lunghe del mercato. Le richieste arrivano non solo dall’area dello Stretto, ma anche dall’Australia, dall’America e dal Nord Europa, magari seguendo quelle reti carsiche dell’emigrazione che sono andate da Messina al mondo. Ci si apre all’iniziativa della finanza etica e della finanza tradizionale: CFI Cooperazione Finanza Impresa partecipa con trecentomila euro, Coop Fond Fondo mutualistico delle cooperative che aderiscono a Legacoop con trecentomila euro, la BCC Antonello da Messina ha deliberato trecentosessantamila euro, anche un imprenditore locale sostiene il progetto con duecentocinquantamila euro e la Fondazione di Comunità di Messina ha versato come quota centosessantamila euro di capitale sociale… [Prosegui il Sole24Ore Aldo Bonomi..]
Siamo sicuri che questa storia è piaciuta anche a voi e crediamo che possa essere veramente presa ad esempio tenendo ben a mente tutti i passaggi qualitativi che mi sono premurato di riportare. Buona bevuta a tutti.