CSA Fontanini

L’Associazione si propone la tutela dei diritti civili e dell’ambiente e la promozione di una cultura di solidarietà, attraverso la ricerca, la sperimentazione e la promozione di pratiche, metodi e forme critiche e consapevoli di produzione, distribuzione e consumo di beni e servizi, che possano svolgere un ruolo importante nella definizione di modelli sostenibili di convivenza equa ed ecologica.
L’Associazione, in particolare, intende svolgere attività di approvvigionamento collettivo di beni e distribuzione dei medesimi, senza applicazione di alcun ricarico, esclusivamente agli aderenti, con finalità etiche, di solidarietà e di sostenibilità ambientale, in diretta attuazione degli scopi istituzionali e con esclusione di attività di somministrazione e di vendita a terzi, come indicato dall’art. 1, comma 266 della Legge 244/2007.
L’Associazione per il perseguimento dei propri fini istituzionali si avvale prevalentemente delle prestazioni libere, gratuite e volontarie, dei soci.
L’Associazione, qualora se ne presentasse la necessità per il raggiungimento degli scopi sociali, potrà stipulare accordi o convenzioni con enti sia pubblici che privati.
L’Associazione potrà aderire a cooperative, consorzi, reti ed altre forme associative che abbiano obiettivi in linea con le finalità e l’oggetto sociale dell’Associazione.

I Soci dell’Associazione intendono attuare i seguenti obiettivi:

  • Fare impresa comune, cioè diventare coproduttori superando i ruoli tradizionali di produttore e consumatore;
  • Adottare modelli di economia alternativi;
  • Condividere rischi e benefici connessi all’agricoltura biologica;
  • Sostenere idealmente, finanziariamente e, possibilmente anche con supporto in campo, un’alternativa al modello industriale di produzione del cibo;
  • Ricreare relazione tra chi coltiva e chi si alimenta e restituire al cibo un valore non esclusivamente di merce (attraverso il prezzo);
  • Avere la possibilità di conoscere direttamente chi coltiva, oltre ad avere un contatto diretto con la terra ed i suoi prodotti.

Per l’attuazione di questi obiettivi, l’Associazione adotterà il modello delle CSA (Community Supported Agricolture), praticato in molte parti del mondo ed anche in Italia.

In queste esperienze, consumatori e contadini sono insieme attori di un sistema di produzione locale di cibo, basandosi su modelli agricoli rispettosi della terra e dell’ambiente, a presidio agroecologico del territorio.

La finalità è quella di superare i modelli di mercato attuali ed i loro condizionamenti, trasformando radicalmente le attuali relazioni economiche verso una nuova economia basata sul concetto di comunità, sostituendo la concorrenza con la cooperazione e considerando il cibo un bene e non una merce.

Col modello CSA i consumatori e i produttori non solo condividono gli stessi princìpi e valori, ma decidono insieme sulle varietà e sulle quantità dei prodotti agricoli, sui prezzi (sganciandoli così dalla legge della domanda e dell’offerta), sulle modalità e sui luoghi di coltivazione, sottoscrivendo un patto solidale di fiducia e reciprocità.

La partecipazione sostituisce la logica individualistica di produzione e consumo per il mercato con la progettazione di coltivazioni condivise per la comunità.

Quello che avete appena letto è il secondo articolo, “Oggetto Sociale, finalità e attività“, dello statuto associativo, letto da Dante, all’assemblea della costituenda “CSA Fontanini” a cui cordialmente ci avevano invitato in qualità di amici.

CSA Fontanini Assemblea

Dante aveva esordito:  visto il numero ancora basso di aderenti e il giro di affari previsto esiguo, 42.000 euro, costituire un’associazione è un modello economicamente più sostenibile dal costituire una cooperativa, forma giuridica più congruente rispetto al progetto di fare interagire soggetti diversi come i consumatori e i produttori.

La prima osservazione dal pubblico è legata alla presunta incongruenza del citare la parola prezzo all’interno di una proposta che vuole restituire al cibo un valore non esclusivamente di merce. A questo è seguita una osservazione/risposta:  se si richiama un comma di legge che disciplina i gruppi di acquisto solidali non si può evitare di parlare di prezzi.  Se volessimo evitare di parlare di prezzi dovremmo fare una associazione che fa riferimento alla costituzione di una comunità.

Vincenzo, ribadisce infatti che l’associazione proposta è sostanzialmente quella di un GAS che comprerà da una azienda agricola. Ricorda che attualmente non esiste una forma giuridica che si avvicina al modello dei CSA e che effettivamente la cooperativa sarebbe una soluzione migliore perché essendo un ente unico risolve questa dicotomia.  Chiude osservando che comunque il CSA non distribuirà in base al prezzo ma in base al raccolto.

Marco, rammaricandosi del fatto che dobbiamo sempre trovare delle soluzioni che si incastrino all’interno della legislazione esistente, osserva che le regole di determinazione del prezzo si potrebbero mettere nello statuto ricordando a tutti che gli statuti servono a dirimere le contese e che queste non sorgono nella costituzione ma nel futuro della gestione.

In queste battute iniziali c’è tutta la tensione tra un dover essere, quello dettato dalle regole del codice civile e un voler essere quello di una comunità che vuole tentare di costruire una sua visione del mondo.

A questo punto prende la parola Stefano di Arvaia e, anche se è frutto di un’interazione con l’assemblea, mi è sembrato più giusto riportarlo come trascrizione di una risposta ai temi posti fino a questo punto. E’ l’esperienza che parla, sono quelli che ci sono passati prima da cui si può imparare e che sono disposti a mettere in comune la loro esperienza perché questa nuova realtà possa nascere nei migliori dei modi.

Arvaia - Assemblea

Volevamo fare una CSA. Dovete tenere presente che l’abbiamo pensata nel 2012, quando siamo venuti a conoscenza che sarebbe stato emesso un bando per la gestione del parco agricolo di 47 ettari di Villa Bernaroli.
Ci avevano avvertiti che il problema più grande che avremmo avuto era l’affittare un terreno pubblico così grande che oltretutto paghiamo qualche euro in più del prezzo di mercato. All’inizio avevamo solo 3 ettari adesso ne gestiamo 47: 4 ettari attualmente sono ad ortive e gli altri sono a parco. Il prodotto della parte a parco viene venduto sul mercato e ai consorzi. Questi ricavi non ci hanno permesso di coprire neanche i costi.

Per partecipare avremmo dovuto essere una azienda agricola biologica. Le nostre relazioni individuali ci hanno portato naturalmente verso il mondo della cooperazione, che ci sembrava, se declinato nella modalità originaria, perfettamente in sintonia con l’idea di CSA. Abbiamo dunque costituito una cooperativa di produzione e consumo, fatta di soci lavoratori e soci fruitori. Siamo partiti in 7, il minimo indispensabile, ma sapevamo da subito che avevamo almeno 50 persone che ci avrebbero seguito infatti, alla prima festa, hanno aderito tutti e hanno subito sottoscritto 100 euro e una quota per le cassette. Dal secondo anno abbiamo abbandonato la logica delle cassette e abbiamo iniziato a condividere tra le persone che arrivano quello che raccogliamo. Attualmente stiamo affinando i metodi di condivisione.
All’inizio dell’esperimento di suddivisione del raccolto siamo partiti con quote da 500 euro, che non coprivano costi reali e ci costringevano a salti mortali per tenere il bilancio in pareggio. Non ce la sentivamo di proporre un valore di quota più alto per non scoraggiare i soci. Questo ha significato che i nostri soci lavoratori per più di un anno si sono immolati percependo uno stipendio poco più che simbolico.

 

Oggi dopo due anni abbiamo iniziato ad abbattere la barriera psicologica dei soci e la quota attuale è 728 euro annui. Non è ancora sufficiente per garantire un salario adeguato. Paghiamo i nostri agricoltori a bracciantato minimo, 7.40 euro netti ora. Abbiamo usato anche l’indennità di disoccupazione e utilizziamo tutte le agevolazioni di legge per pagare gli stagionali. I contadini dovrebbero lavorare 35 ore settimanali in realtà fanno anche volontariato arrivando a 6 giorni per 7 ore. La paga oraria è uguale per tutti dal presidente al contadino. Chi va al mercato prende 20 euro e se si va in 3 si divide. Quelli che lavorano nella comunicazione non vengono pagati. Con 10.000 paghiamo lo staff e la distribuzione assorbe solo 2.600 euro. La contabilità la tiene una socia. Al commercialista diamo 1.500 euro annuii e 1.800 li prende la centrale coop. Le uniche strutture della cooperativa sono i tunnel. Usiamo la PAC e con questa paghiamo l’affitto. 6.5 ettaro per 47 ettari ci dà i 25.000 di affitto.

Distribuiamo agli associati il controvalore di 15 euro per 49 settimane. È il frutto di un bilancio previsionale in cui conteggiamo tutti i costi di produzione prevedibili e questi generano la quota media “consigliata”. Questa viene proposta ai soci nel corso di un’assemblea in cui viene chiesto di contribuire alla copertura del budget in modo solidale: chi ha di più offra di più per consentire a chi ha di meno di contribuire con una cifra più bassa. Vengono raccolte le promesse e conteggiate “in diretta”. Se il budget previsionale viene coperto si chiude la riunione, se manca ancora qualcosa si fa “un altro giro di cappello”.
Una volta acquisiti i mezzi economici per produrre il socio fruitore ha accesso alla sua parte di ortaggi senza più nessun esborso economico.

Un’altra fonte di entrata sono i mercati contadini. Attualmente facciamo un mercato, all’interno dell’Associazione Campi Aperti, che riunisce i piccoli produttori dei colli bolognesi. La partecipazione ai mercati è oggetto di grande dibattito al nostro interno ma il conto economico va gestito. Il primo anno il mercato ha assorbito il 50 per cento della produzione, il secondo il 30 per cento: vorremmo arrivare a zero. Vendere al mercato è una decisione controversa, presa in origine per assolvere ai problemi di bilancio. Ma per molti di noi rappresenta anche l’apertura alle altre esperienze consimili e partecipare ai mercati rafforza la comunità. Per noi è importante essere dentro Campi Aperti.

Arvaia - Votazione

La raccolta viene fatta due volte alla settimana. I soci possono venire una sola volta alla settimana. Noi in realtà distribuiamo in 8 punti della città e i soci non pagano questo servizio.
Quando il socio viene a ritirare se non desidera un prodotto la può lasciare in una casetta di scambio ma non lo può sostituire con quello che vuole. Noi mettiamo il peso e le quantità che spettano a ciascuno ma non controlliamo né chi viene né che cosa viene preso. Il controllo è collettivo. e secondo noi non ci deve essere. Tutti devono essere responsabili.

Le eccedenze di produzione, essendo già pagate perché in quota socio, sarebbe ideale darle alle mense ma per legge le puoi donare solo se vengono a prenderle loro. Potremmo portarle al mercato o a esercizi commerciali che le usano per la ristorazione e venderle al prezzo di Campi Aperti.

 

Non vorremmo avere soci che si comportino da clienti. Siamo in 180 che sembrano clienti ma alle assemblee partecipano in 70. Non tutti fanno come volontariato i contadini. In una CSA l’importante è la partecipazione. Il volontariato è fondamentale ad esempio quando raccogli le fragole. Non guardate solo il lavoro in sé ma anche il valore relazionale. La motivazione è fondamentale. Anche un’ora di lavoro volontaria andrebbe valorizzata e capitalizzata. Ciascuno dei gruppi in cui siamo organizzati : agricolo, distribuzione, comunicazione, parco, economia, staff, aromatiche, cucinieri, formazione fa un bilancio sociale.

Per poter lavorare volontariamente in un azienda agricola devi perlomeno partecipare ad una fattoria didattica che ti garantisce ad esempio l’assicurazione contro gli infortuni. I soci condividono anche questo tipo di rischi.

Nello statuto abbiamo il socio sovventore e quella quota viene remunerata a tre anni con un interesse molto basso. Non abbiamo mai usato le banche. Usiamo i soldi dei soci sovventori ad esempio per coprire gli imprevisti tipo la rottura di una macchina. Abbiamo fatto un PSR e i soci hanno anticipato i 40.000 euro. Alcuni di questi soci poi sono rimasti come soci sovventori. I soci sovventori non possono dare più di 5.000 euro. Troppo denaro crea grossi problemi tipo azionariato popolare.

Dovete resistere al mercato e quindi i conti economici devono essere in ordine. I contadini in realtà stanno facendo questo. Esistono due visioni: una del volersi bene e l’altra dove tutti hanno un reddito corretto. A noi piacerebbe essere una CSA del secondo tipo ma per farlo bisognerebbe diventare più efficienti della GDO.

Per raggiungere il pareggio di bilancio bisogna valorizzare tutte le risorse a disposizione; vendere la formazione potrebbe essere una di queste: l’università, con cui abbiamo in corso dei progetti comuni, ad esempio, la paga.

Quando siamo partiti in Germania c’era già un CSA a Freiburg, la GartenCoop. Loro sono un’associazione che supporta i contadini. Ne hanno 7 e sono pagati bene. Sono in 200 che hanno versato subito 450 euro di investimento con cui hanno fatto partire il tutto. Loro sono a 20 km dalla città: hanno 3 punti, hub, da cui consegnano con le biciclette. Non fanno mercati e l’unica opzione che danno è la partecipazione al CSA e c’è la coda per accedere. Siamo andati a trovarli subito e ci hanno veramente dato una mano nel processo costitutivo. Spero che oggi possiamo aiutarvi quanto loro allora hanno aiutato noi.

Erano abbondantemente passate le 13 e io dovevo andare dalle parti di Vignola perché altri amici mi avevano invitato per ascoltare altre esperienze emiliane. Prima di fuggire non ho saputo resistere e ho chiesto a Vincenzo quale era lo stato dell’arte del CSA Fontanini.

Le adesioni ad oggi sono di 55,5 quote piene per 66 soci. Le disdette sono pochissime (tre) e che le hanno già recuperate con adesioni provvisorie o in prova (categoria che è stata assunta dall’assemblea per quei soci che vogliono accostarsi alla nostra esperienza) fino a febbraio o con passaggi da mezze quote a quote intere.

Le cassette distribuite ad oggi sono state circa 700 per un quantitativo complessivo attorno alle due tonnellate e mezza di ortaggi distribuiti.

E ha chiuso rassicurandomi che l’obiettivo di adesioni che si erano prefissi, 70 quote piene, verrà sicuramente raggiunto con un’azione “porta a porta” da parte dei soci attuali e delle realtà dalle quali provengono.

Non vi è venuta voglia anche a voi di partecipare?


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