La signora Ida di Vico

Il pane di segale di Vico era nominato.
Dicevano che era l’acqua speciale, non so o il modo di farlo.
Noi facevamo un pane speciale.
Si coltivava segale, patate, saraceno, orzo (scandèla) per il caffè o la minestra.
Si mangiavano sempre tantissimi fagioli di tutti i colori.
Vico era famosa per i rastrelli.
Si macinava al mulino di Cortenedolo, si portava con l’asino e il carretto.
E ogni casa aveva il suo forno.
Noi facevamo il pane ogni settimana.
Allevavamo mucche (due o tre) e pecore e tutti le portavano in stalla. Noi tenevamo l’elenco e ogni pecora doveva pascolare coi bambini.
Bisognava fare attenzione perché entravano nei campi con la segale.
Li si pascolava in inverno per irrobustire le piante della segale.
Noi si faceva la biga la sera con lievito madre, la pagnotta della volta precedente.
C’era la scodella di legno con due panetti di pasta madre.
A volte seccava e allora la si riprendeva togliendo il secco e rimettendo farina e acqua.
E la pasta madre girava il paese, la pasta madre era unica nel paese.
Prima la pasta madre la teneva la nonna Giacinta. Poi la nostra famiglia.. poi non so
E venivano anche quelli di gas, una frazione sotto
Ciascuno prendeva la scodella con la pasta madre e restituiva poi la pasta dell’impasto, e doveva essere un po’ dura.
Alla sera nella mesa si faceva la biga

Signora Ida di Vico - Caffe delle ache

Il caffè delle ache
Bacche come le fave con la cima pungente.
Noi si metteva anche nel caffè, perché il mio nonno conosceva una che lavorava in farmacia e voleva queste bacche da macinare e mischiare al vero caffè perché diceva che faceva bene al cuore.
Quando le mucche a settembre ottobre pascolavano nei prati allora magari si gonfiavano e si faceva il caffè delle mucche e si metteva nelle bottiglie col vetro grosso e si faceva bere il caffè alle mucche.

Si seminava a fine ottobre dopo la raccolta delle patate o in primavera ma era una segale diversa
Il raccolto si faceva in luglio.
Noi la terza di luglio si faceva la festa della madonna del Carmine.
Il patrono di Vico è San Fedele, ma noi lo si festeggiava poco. Noi si festeggiava invece Santa Lucia e appunto la terza di luglio.
Se il tempo era giusto si poteva fare il primo pane alla terza di luglio.
A raccogliere la segale erano le donne, si andava alle tre e mezza a raccogliere con la falsela, si facevano le coef. Si portava a casa a spalla o meglio con l’asino e il carretto dipende dalla raggiungibilità del campo.
La si metteva nel cortile coperto e si lasciavano seccare i covoni sotto il tetto appoggiati in verticale.
Le crepène.
Si lasciava fino ad agosto e poi si batteva col sgredadur, un’asse su cui si sbatteva il covone.
Poi si batteva col bastone.
E infine si sgranavano le spighe a mano.
Poi la granella si metteva nel vaglio e ci si metteva nel vicolo stretto aspettando che si lazasse il vento e si vagliava la pula.
Si aspettavano anche le mezze giornate e la granella si puliva bene.
E poi la si vagliava ancora per pulirla bene.
La prima granella, la migliore la più grossa si teneva per seminare un quarter.
L’ultima, la più piccola, la si macinava ma si dava alle bestie
E un quintale a volta si portava al mulino del “principino”.
Si metteva la farina nello scrigno.
Si infornavano 6kg di farina.
Alla sera si metteva tutta la farina nella mesa; in un angolo si metteva la pasta madre con un poco d’acqua calda e con un po di farina si lavorava la biga.
Al mattino si impastava la farina restante e l’acqua, una scodella di sale.
Si impastava e si sudava.
Dicono che a impastare il pane si impasta col sudore della fronte.
A volte più duro.
Altre più molle.
Quindi si metteva il coperchio sulla madia e si lasciava per due orette.
Quindi scoperchiato si usava il coperchio per impastare la pagnotta senza buco.
Il pane resta basso, bello nero scuro.
Solo farina di segale: il fiore non la seconda.
Senza frumento io lo preferisco.
Si mettevano le 30 pagnotte sulle assi.
E non si poteva fargli prendere aria.
Alla mattina alla buon’ora mentre si impastava si accendeva il forno.
Bianco l’interno il forno era pronto.
Legna leggera ogna (ontano)..paghera..noce..pioppo. no castagno ne frassino.
Prima si metteva il fuoco solo in mezzo.
Poi lo si spargeva.
La legna ci voleva lunga, perché corta si spegneva nello spargerla
Poi si toglieva la brace con un rastrello di legno senza denti
Il forno era tutto ricoperto sia sotto che sopra con la cenere. Noi ne abbiamo tenuta tanta per rifare il forno.
Poi si puliva con uno straccio di cotone ben bagnato, umido che non goggioli e così non brucia lo straccio
Come un moccio
Poi con la paletta si infornava
Prima si metteva la frisa per tirar via il primo caldo del forno si schiacciava col mattarello quanto era rimasto nella madia e lo si metteva nel forno e lo so faceva girare per tutta la superficie
Il primo pane si metteva sulla parete di fondo poi a file intorno e infine al ceetro.
Poi bisogna fare el stilì alla bocca del forno aperto.
Cresciuto il pane si chiudeva e poi a stima si lasciava chiuso
Poi si controllava.. ci voleva di solito un’ora
Poi si metteva sul tavolo finché era freddo
Noi lo si metteva in una cesta attaccato sul soffitto della cucina.
Il pane lo si mangiava a colazione col caffè d’orzo e un po’ di vino o un pezzo di burro e a merenda

Signora Ida di Vico - Orzo tostato invecchiato
Tanti mangiavano il pane caldo di forno col vino
Oppure lo si faceva arrostire a fette, fresco non secco con l’olio nella padella sulla stufa, poi nel piatto zucchero e vino e il fiore di camomilla e magari lo si faceva a merenda.
In una settimana diventava duro… non secco.
Oppure nella zuppa col brodo.
Oppure con le noci e il crescentì con le castagne secche
La pasta madre… quando si impastava nella mesa… si prendeva la pasta di due pani e un po di farina per indurirlo così non lievitava e usciva dalla scodella
La pasta madre era sempre tenuta da una famiglia.
Quelli che erano in montagna mandavano a dire che scendevano in paese. Loro facevano due forni per 15 giorni
O la coltivazione de la segale.
Si seminava il primo seme caduto nella battitura
Si seminava in ottobre
A marzo si zappava tutto il campo.
Si muoveva la terra e con la pioggia la segale faceva bene
Un quarter erano 20 tavole e si seminavano 20kg..( una tavola 32mq)
È meglio un brutto zappare di marzo perché c’è sempre aria e secco non si sta bene e che un bello zapapre di aprile
A maggio si entrava in campo a mondare la segale già alta e bisognava stare dritti, non in ginocchio senno si rompeva la pianta a togliere tutte le erbe
Oggi si lascia l’erba mentre noi la tenevamo pulita, altrimenti l’erba che cresce e la lega e sopravanza le spighe e la segale non cresce bene.
Poi a luglio si raccoglieva.
A volte si poteva già avere la farina nuova per la festa dela terza du luglio.

Quando si allettava (vampava) allora non si faceva nulla. La segale deve stare dritta.
Noi si portava il letame in campo. Oggi ci mettono le porcherie.
Dopo la segale si metteva il saraceno un’aratura leggera per preparare il campo. Noi la segale si tagliava basso contro la terra.
Da settembre inizio ottobre maturava il saraceno e si batteva nei campi.si facevano i piloch tutti insieme al sole così il vento e l’acqua non li facevano cadere.
Poi lo si batteva nel campo su un telo con un bastone o il Flel in due alternati.
Anche del saraceno due qualità
In montagna si coltivava il sibergio, rimaneva verde, non era tanto buono più amara
Il vero saraceno si metteva in paese, era buono quello. Il saraceno si sfalsa da sé… noi si toglievano le piante di sibergio.
Si faceva polenta e pizzocher.. sciach
Una manciata di farina nera una di bianca, acqua calda, un po di sale si impasta senza uva.
Bisogna farli cuocere un bel po
Nello stesso campo si lasciva riposare e l’anno dopo si seminavano le patate, arato col letame a febbraio marzo poi dopo 15 giorni le patate
Poi si zappavano due tre volte le patate per tenere pulito il campo, le patate si raccoglievano a settembre ottobre.
Quindi a ottobre si risemina la segale.
Nel campo di patate si alternavano file di fagioli, soprattutto in cima al campo( siamo in montagna tanti campi in pendenza e ogni anno si riportava terra che naturalmente scende in cima al ampo)
I piselli lungo i muri
Poi verze, zucche per i maiali in mezzo al campo di patate
Poi si faceva la MODA la torta di zucca.
Si seminava anche frumento, e mais (sorgo)
Le rape dopo agosto belle rade magari in un pezzo di campo della segale.
(Orzo marzolo primaverile)
Per due anni segale, un anno patate
L’orzo se ne metteva poco, giusto per il caffè


Prima della guerra, non si stava bene prima, però si viveva con quello che si coltivava
Pane di segale, maiale, mucca, latte, burro, formaggio verdura, orto, pecora e agnello noi si comprava poca roba.la lana da filare.
Dopo la guerra la gente a cominciato ad andare a lavorare fuori. Emigravano tanti in svizzera. Oppure in città
Prima il marito poi la famiglia. Ora vengono 15gg in estate in vacanza.
C’era il caseificio turnario, col casaro, proprietà della Vicinia. Esiste ancora, coi pochi capi famiglia che ci sono ancora.
Manutenzione del canale da mola per irrigare i prati e i campi. Ciascuno aveva il proprio turno.
C’erano mele e viti. La “poma di Vico” la mela tipica. Una mela grossa piatta che si conserva tantissimo. C’è a sonico al frutteto del parco.
Venivano fin da Bergamo a comprare i frutti sulla pianta.
Tante castagne.si davano anche ai maiali, si facevano seccare nel forno dopo aver tolto il pane.
Si faceva il vino. In tempo di guerra non c’era più il verderame e si è interrotta la coltivazione.
C’erano tante piante da frutto.
E si letamavano tutti i campi.
Vico aveva tanta campagna.
C’erano le baite in alto. Tutte private.
La strada ci collegava a Cortenedolo.


5 Comments

Simonetta Giussani

Mia cara Ida non immagini che piacere leggere questi tuoi ricordi , perché così resteranno scritti perché sei la più anziana di Vico ormai molti se ne dono andati portando con se tutto l’amore per la terra di Vico, ricordo i racconti di nonno Ambrogio e di mia madre vissuta a Vico durante la guerra!!!! Grazie perché hai raccontato una parte di storia!!! Ciao Simonetta

Articolo stupendo ! Mi riporta alla mia infanzia ormai così lontana …Posso dire che io mi ricordo di tutto questo con nostalgia e pagherei non so quanto per riassaggiare quel pane nero un poco disprezzato forse a favore dei panini bianchi del fornaio,ma di un sapore mai dimenticato!

Bellissimo questo articolo scritto così come è stato dettato con un po di parole in dialetto che mi hanno fatto vedere con gli occhi della fantasia i nostri nonni che lavoravano la terra e che veramente col sudore bagnavano i campi…. gente semplice che però sapeva apprezzare e amare la vita! Dovremmo meditare tanto….

Condivido in pieno il pensiero nei confronti del passato di Vico, anche se non sono originaria di questo luogo, mi rivedo nella mia infanzia in un comune montano poco distante.

Bellissimo questo articolo si dovrebbe indagare di più nel passato dei nostri paesi per far capire e apprezzare alla nuova generazione tutti i sacrifici e le fatiche dei nostri avi.

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