Dopo il saluto del Sindaco di Cesate, Giancarla Marchesi, molto orgogliosa del lavoro fatto da Angelo Sofo dell’uso dell’agricoltura come stimolo all’integrazione dei richiedenti asilo, è iniziata una discussione che brevemente vi riporto. L’aria era molto informale visto che il circolo delle sedie occupava l’area verde antistante al punto di ristoro, reso troppo rumoroso dall’acre lavoro delle volontarie che stavano facendo la pasta a mano.
Giorgio Ferraresi
Rimanda al suo scritto per questo evento sul blog di Angelo Sofo e su quello di Ciboprossimo; questo per quanto riguarda ciò che si sostiene nella prima parte di quello scritto sul grande valore delle esperienze come quella di Cesate e di tutte le altre con cui ci si mette in relazione, alcune qui presenti e molte altre che hanno in comune la scelta e la pratica della “via contadina”, dell’agroecologia, della neoruralità: si sta iniziando a “cambiare al storia”.
Non c’è più la fabbrica ma ci sono di nuovo i campi, si producono e si scambiano beni per la vita, i mercati contadini sono alternativi ai flussi di merci globali.
Con questa consapevolezza si deve raggiungere la capacità di fare rete, di darci strutture delle filiere e di costruire dei sistemi di nuovo territorio, bene comune. Da e su questo si comincia la discussione
GianMario Folini
La Scuola Ambulante di Agricoltura parte dalle cattedre ambulanti che hanno accompagnato il passaggio all’attuale agricoltura. Sono quelle che ci hanno portato dall’abitare i territori ad un’agricoltura convenzionale. Le cattedre ambulanti nacquero dal basso. Portarono il cinema in campagna e l’educazione alle donne.
Lo sapete che le api sciamano in città perché queste sono meno inquinate chimicamente delle campagne?
Abbiamo 500 varietà di olivo che sono un patrimonio di biodiversità che aspetta solo di essere valorizzato. Il bitto sta in piedi perché è conosciuto a livello internazionale. I ribelli del bitto sono un modello che partendo dalla preservazione della loro tradizione casearia sono arrivati anche a reintrodurre la bruna alpina. Tutte queste competenze agronomiche unite alla disponibilità di tecnologia ci hanno permesso di ragionare sul come costruire delle comunità di pratica. La Scuola Ambulante di Agricoltura è questo.
Abbiamo poi utilizzato l’apicoltura come elemento paradigmatico. Partendo dall’idea che l’apicoltura convenzionale non tiene conto delle caratteristiche delle api stesse utilizzando la top bar, un arnia a basso consumo energetico, nata in Kenia, molto adatta alle esigenze degli insetti abbiamo voluto creare un esempio concreto di come deve essere questa “nuova” agricoltura.
Desiderio Carraro
La nostra storia parte alla fine anni 70. Vi ricordate? Erano momenti duri con lotte, spari e droghe. Capimmo ben presto che la rivoluzione non si fa poteva fare. Abbandonai il mio lavoro all’Enel con l’idea di diventare il protagonista della mia vita a partire dall’importanza che ha in questo percorso il cibo che mangio. Vado a Piero con la mia donna. All’inizio è festa grande con tanto passaggio di amici. Piano piano ci immergemmo nella realtà che avevamo incontrato. Le signore anziane che ancora l’abitavano, ci fanno capire il disastro che lo spopolamento stava provocando a tutta l’area. Ci insegnano ad allevare le capre. Fummo molto fortunati perché il primo formaggino che facemmo andò subito a ruba. Sapevamo veramente poco su come si faceva il formaggio ma tutto quello che producevamo veniva acquistato. Forti di questo successo iniziammo a mettere a posto le case ma dopo non molto questo nuovo clima portò al ritorno dei vecchi residenti. Dovemmo ingegnarci a trovare nuovi spazi vuoti. Costituimmo 5/6 aziende vive e floride tra cui la nostra Pian Du Lares. Non abbiamo mai avuto il problema di vendere i nostri prodotti. Recuperammo la Capra Nera di Verzasca e ottenemmo la certificazione per la prima Formaggella del Luinese DOP.
Siamo riusciti a convincere la regione di reintrodurre il pascolo nelle zone boschive. Gli animali tengono pulito il bosco. Abbiamo lasciato 30 cavalli liberi di pascolare nel bosco per moltissimi anni ma dopo 30 verbali li abbiamo dovuti eliminare. Quando non sapevano chi incolpare bastava indicare i cavalli e alla fine abbiamo dovuto desistere. Ma al di là di queste fobie il lavoro che fanno gli animali per mantenere i boschi è inimmaginabile. Se guardate dall’alto la nostra montagna vi accorgerete che è verde solo la nostra realtà perché ci lavoriamo; intorno é tutto marrone.
Adesso il problema vero è quello del ricambio generazionale. Senza continuità il nostro patrimonio andrà tutto perduto. Un giovane adesso non potrebbe partire come abbiamo fatto noi: la burocrazia lo scoraggia. Ci sono moltissimi terreni abbandonati ma i giovani non riescono a prenderli e senza la possibilità di riprendersi in mano l’agricoltura noi non sapremmo a chi passare quanto abbiamo costruito.
Francesco Orru
Anche se il terreno che ho preso, nel basso Lario è ad un altitudine più bassa rispetto a quella di Desiderio posso affermare che i temi sono gli stessi. Concordo sul fatto che bisogna partire dal tema del passaggio generazionale. Bisogna avere il coraggio di guardare in là, ai figli dei nostri figli. A quello che gli lasceremo.
Io sono caratterialmente diverso: se loro sono partiti facendo, io prima voglio fare uno studio di fattibilità per vedere se effettivamente ci sono le condizioni economiche per attivare attività come la loro.
La questione vera è la complessità. La normativa è un problema.
La valle dove ho acquistato i terreni ha tre paesi rispettivamente di 210, 260 e 700 abitanti. In quello di 260 hanno chiuso l’ultimo negozio di alimentari nonostante che il trenta per cento degli abitanti ha più di 60 anni. In questa condizione devo per forza avere un rapporto con l’amministrazione visto che ho il 95% dei terreni agricoli del paese. Senza una connessione con le politiche territoriali, incluso lasciare tutti senza un punto vendita locale, non vado da nessuna parte.
Lo spopolamento non provoca solo la chiusura degli esercizi commerciali: si chiudono anche gli asili moltiplicando gli spostamenti di chi è in grado di farli.
Un altro aspetto da tenere in conto è la frammentazione dei terreni: questo incide anche sulla disponibilità delle macchine sia in termini dimensionali, i terreni sono piccoli, che di disponibilità contemporanea, sono lontani.
Potrei dare reddito a due famiglie.
Nel mio modello ideale c’è chi si insedia a fa la gestione e una ciambella di persone intorno, il tessuto sociale, che supporta in termini economici e sociali il nucleo di gestione.
Desiderio Carraro
Francesco quando si è in molti l’autorganizzazione dei singoli porta altri benefici. Da noi ogni azienda ha fatto le sue cose da sole. Ognuno ha potuto imparare dai propri errori e quando dovevamo affrontare l’esterno l’esterno abbiamo messo insieme la distribuzione e la comunicazione. Ognuno faceva i suoi prodotti e poi lli abbiamo venduti insieme.
Angelo Sofo
Solo gli stessi temi che affrontiamo qua a all’Orto Sociale di Cesate. Abbiamo dedicato molto tempo a creare una rete di relazione. Adesso quel lavoro dimostra tutta la sua utilità.
Dovete tenere conto che nonostante il gran parlare quelli che si dedicano a coltivare sono la minoranza. Molti fanno solo comunicazione. I giovani spesso fanno partire l’orto e poi lo lasciano come è successo qui a Cesate.
Nonostante questo con una produzione minima di verdure siamo riusciti a creare una rete coesa che ci fa ben sperare di avere un futuro. Un contadino ci ha dato dei terreni. E’ necessario che gli enti territoriali, Comune, Parco delle Groane, Ersaf ci diano ancora una mano: se avessimo più aree agricole potremmo introdurre nuove coltivazioni che siamo sicuri aumenterebbero anche il nostro capitale sociale.
La capacità dei territori di produrre è andata perduta e credo proprio che bisogna ripartire da questo tema.
Vi ricordo che siamo partiti avendo in tasca solo 300 euro.
Francesco Orru
L’esperienza dell’Orto di Cesate è molto interessante perché avete sia i cittadini che i produttori. Credo che dobbiamo imparare da voi introducendo anche dalle nostre parti la possibilità che l’utente raccolga direttamente dal campo quanto l’agricoltore ha coltivato per lui. Ma queste nuove pratiche introducono altri problemi come la necessità di assicurare chi entra nei campi.
Angelo Sofo
Noi abbiamo fatto un’assicurazione all’associazione che copre anche questi problemi.
Giorgio Ferraresi
Come si fa ad uscire da questa situazione? Avete tutti problemi analoghi e siete impegnati a seguire questa quotidianità.
Bisogna trovare un livello di autorganizzazione collettiva in modo tale che i problemi diventino comuni per avere al forza di affrontarli.
Cosa si sta facendo in questa direzione?
L’esperienza dell’Osservatorio Territorialista di Milano (OSTEMI) sta portando avanti da oltre un anno un processo di connessione di questi “laboratori territoriali” come quelli di cui ci state parlando; mischiando saperi “esperti” come quello dei territorialisti su analisi e piano del territorio e saperi dell’esperienza che voi rappresentate. In concreto si è proposto prima di tutto di fare in modo che le esperienze sul campo si riconoscano, si sappia dove sono, cosa producono “chi sono”.
Una operazione di produzione di una mappa è al centro di questa connessione. Ed ora stiamo riproponendola insieme alla formazione di una infrastruttura informatica che dia ai soggetti sul territorio il potere di conoscenza e di comunicazione, consegnandolo nelle vostre mani. Ne riparleremo sulla base di quanto si è fatto a partire dal seminario “Contadini e complici…” dello scorso anno. Questo e molti eventi come questo e l’organizzazione di mercati contadini come luoghi vivi oltre le reti informatiche che sono essenziali.
Occorre che si trovino anche alcuni temi trainanti che ci siano comuni, come si è detto. Due di grande portata, ad esempio.
– l’assegnazione delle terre incolte (non la vendita ama la disponibilità in concordato, con i supporti del caso anche contro il peso della burocrazia) sulla base di un “banca della terra”.
– e il tema dalla nuova economia di natura cooperativa in un rapporto diretto tra produzione e consumo ; nuove strutture delle filiere e nuove forme di socializzazione
I mercati sono un problema comune e vanno come luoghi in cui, si acquisisca conoscenza e coscienza di luogo.
Su questi grandi problemi comuni essenziali ci dobbiamo soprattutto auto-organizzare; difficile poter contare su politiche istituzionali in questa crisi radicale dell’agire politico (non possiamo fare solo “advocacy”( richieste, petizioni…) senza la forza di un’azione. Ma detto questo abbiamo il dovere di stanare e indirizzare le politiche appena si aprono degli spiragli di istituzioni non ostili: una maieutica delle politiche. Ma sta a noi alla nostra autonomia e capacità di operare e costruire un futuro in marcia.
Ben presto si è fatta l’una e la pasta era pronta. Abbiamo preso le sedie e ci siamo spostati a discutere con le gambe sotto il tavolo. Di questa sessione non vi posso riportare niente perché nella mani avevo al posto di una penna forchetta e coltello.