L’eremita. Solo, senza tv né internet. Compagni 55 mila libri.

Marmora (Cuneo). Tutti i pomeriggi, poco prima delle quattro, prende il bastone accanto alla credenza, apre la porta della cucina, l’unica stanza riscaldata, ed esce dal monastero. Non sembra, ma questa casona di tre piani, che dal ciglio della strada scende lungo la riva invece di alzarsi verso l’alto, è un monastero. A sinistra ha un piccolo orto. Dietro, un pollaio con sei galline e un gallo. Sotto, un’attrezzeria. Attorno, una decina di malghe abbandonate, boschi di larici e le montagne. Là in fondo, il Monviso. Nessun lusso, nessuna solennità né magnificenza, soltanto quattro muri e un tetto, grosse pietre e piccole finestre. E un portone sempre spalancato. Quando esce, percorre una strada in salita. Fa un centinaio di passi con i suoi zoccoli, arriva al piazzale ed entra nella chiesa che sovrasta il monastero: è la parrocchiale di Marmora, una ventina di abitanti laggiù in basso, Valle Maira, provincia di Cuneo, centoventi chilometri da Torino, a un passo dalla Francia.
In sacrestia si prepara con cura. Ripete sempre gli stessi gesti, lentamente, a fatica, per colpa dell’artrosi. Veste la cocolla, la tunica bianca del benedettino. Sopra, indossa la casola, l’ampia veste liturgica. Prepara le letture e dice messa. Davanti non ha nessuno. Non c’è quasi mai nessuno, nemmeno la domenica, quando dice messa anche al mattino. È abituato alla solitudine. Non impiega molto a celebrare la funzione. Dice a voce alta anche le parti che spetterebbero ai fedeli. Alla fine si spoglia, ripone tutto con ordine, riprende il bastone e rientra a casa, in monastero. Mezz’ora, quaranta minuti, non di più, e torna ai suoi libri. Prima due dita di caffè e poi subito al lavoro, davanti a un computer vecchio di vent’anni per catalogare libri. Che sono il suo hobby, dice, il suo vizio, la sua passione, l’altra faccia della sua fede, un pezzo grande della sua vita sorprendente: solitaria e dedicata agli altri. Padre Sergio De Piccoli è un monaco benedettino. Ha occhi azzurri, lunghi silenzi e lingua svelta, spirito tagliente, barba incolta e capelli arruffati, bianchi entrambi. È secco, piccolo e tenace. Mezzo pacchetto di sigarette al giorno e sei caffè, sempre bevuti nello stesso bicchiere: «Solo due dita, però».


L’immagine è quella di un giunco, ma lo senti come una roccia. A gennaio compie 79 anni. Da trentuno vive in Alta Val Maira, nel suo monastero a 1548 metri e coltiva libri. Ne aveva duemila, quando è arrivato, adesso la biblioteca conta 54.500 volumi, senza considerare quelli impilati attorno al computer, ancora da catalogare. È ospitata in cinque stanze al piano di sotto. Si presenta come un incrocio fra una miniera e un labirinto, il Paese delle meraviglie e, appunto, la Biblioteca di Babele. Pare che padre Sergio abbia più libri di Umberto Eco. Li colleziona e li cataloga, ed è come se collezionasse e catalogasse il mondo. I pochi soldi che ha, li investe in libri. Quasi tutta saggistica. Ci sono i Classici Ricciardi editi da Einaudi e l’Universale scientifica Boringhieri, le collane del Mulino e quelle della Marietti, la Biblioteca di cultura moderna e quella filosofica di Laterza, i classici Utet e i tomi dell’Associazione biblica italiana, e poi la Sei e il Saggiatore, le memorie e biografie Garzanti, Adelphi e Feltrinelli, le Edizioni Paoline. Una stanza è riservata alle enciclopedie: un po’ la succursale della Treccani, con il Dizionario biografico degli italiani arrivato al settantunesimo volume, alla lettera M. «Pensa che è cominciato quando ero ancora a Roma» sospira, «nell’Abbazia di San Paolo fuori le mura». Faceva il maestro dei novizi e il sacrestano della basilica. Erano gli anni Sessanta, gli anni del Concilio Vaticano II. «Sono nato in mezzo ai libri» racconta. «Mio padre a Milano, a Porta Ticinese, faceva i tipografo e il rilegatore. Era comunista e io ero l’unico in fami-glia che andasse in chiesa. Sapevo leggere e scrivere prima di andare a scuola. Da bambino mi occupavo di scucire e disfare i libri che portavano a mio padre perché li rilegasse di nuovo. Ne approfittavo per leggerli gratis: la collana per ragazzi della Salani, I promessi sposi prima delle medie, I miserabili. I libri più importanti sono quelli letti in gioventù. C’è il sapere nei libri, ci trovi il mondo. Sono documenti di ciò che è successo, ciò che succede e ciò che succederà». Dopo quindici anni a Roma, passati a San Paolo fuori le mura, laureato in teologia con una tesi sul sale nelle religioni, chiede di fondare un nuovo monastero. È il 1972. «Mi era rimasta impressa una frase del mio abate, dom Franzoni: per alcuni il Concilio Vaticano II è una fine, per altri un inizio. Io da lì ho ricominciato. Volevo un monastero semplice, povero, senza chiostri, saloni, scalinate. Così, con due confratelli, siamo venuti in Piemonte, vicino a Giaveno, dove c’era una chiesa con una canonica disabitata. Uno di noi era della zona. Ma poi il primo se ne è andato via subito e l’altro, dopo qualche anno, è stato nominato abate ed è tornato a Roma. Sono rimasto solo e ho deciso di spostarmi. Volevo la montagna. Giravo per parrocchie e mi hanno indirizzato qui. Sono arrivato il 18 aprile 1978. Era tutto coperto di neve, sono entrato dalla finestra del primo piano. La casa era semidistrutta, dormivo in cantina. Mi sono innamorato dell’ambiente: la natura, il silenzio. Ho trovato quello che cercavo, la povertà. Sono un contestatario, non seguo la moda né la mentalità comune, seguo il Vangelo».

Seguendo il Vangelo e la regola di San Benedetto, padre Sergio ora et labora, prega e lavora. Non ha cellulare, televisione, internet, radio, né acqua calda. Ogni tanto chi passa gli lascia un giornale. Passano in molti, in verità. Qualcuno si ferma per un po’. Turisti. Curiosi. Persone in fuga. Lui accoglie. «Appena arrivato ho cominciato a ospitare drogati, alcolisti, gente mandata qui agli arresti domiciliari, chi ha bisogno. Ci passa la vita traviata qui dentro» sorride. Tratta Dio come un amico. «E un padre, non un padrone» dice, «e di un padre non hai paura. Con lui ci si aiuta a vicenda». Libri e persone, lavoro e preghiera, Dio: è tutto, quassù dove ci sono il Lago Tempesta e il Colle del Mulo, dove c’è questa biblioteca riconosciuta ufficialmente come patrimonio delle Alpi. Due anni fa l’ha donata al Comune di Marmora, che ha ottenuto finanziamenti europei per costruire una sede più adatta. Sono libri, soltanto libri. Ma chi sa guardarli come padre Sergio, li vede uomini. Con le loro storie e le loro esperienze da condividere. Sono fatti per essere ascoltati e per ascoltare. Riassumono il mondo, anche in uno sperduto, isolato angolo di montagna. Accanto a Dio.

Quello che avete appena letto è un articolo di Gian Luca Favetto, foto di Francesco del Bo, uscito sul Venerdì di Repubblica dell’11 DICEMBRE 2009. Era custodito gelosamente in un cassetto di casa mia per poter seguire il consiglio di andare a trovare padre Sergio. Oggi mi è caduto l’occhio su questo pezzo di Marco Salamon,  comparso il 18 agosto 2017 sugli Stati Generali e ho scoperto che “sono arrivato tardi“. Padre Sergio ci ha lasciato un anno dopo essere stato intervistato da Maurizio Fantoni Minella nel 2012.

Marco Salamon  partendo dalla presenza nel video di Daniele Gangi, ai tempi il suo aiutante e oggi custode di questa meravigliosa e folle biblioteca ci dice che ha raggiunto i 70.000 volumi e  che si incrementa continuamente.
Meravigliosa perché per chi ama i libri aggirarsi per questi cunicoli dove migliaia di libri sono accumulati in perfetto ordine, non funzionale ma estetico (per editore, per collana e per altezza), in modo da premiare il colpo d’occhio, è una esperienza emozionante.
Folle perché questa biblioteca isolata tra le montagne non ha alcuno scopo pratico. Non ha potenziali utenti perché quasi nessuno ci abita intorno. E non ha nessun libro “speciale” da esporre. Semplicemente custodisce decine di migliaia di normalissimi libri (tutti classificati usando dagli anni ’90 con un pc che non è mai stato cambiato nè aggiornato, per non smentire la regola del “tempo fermo”).
Tant’è che il Comune di Marmora ha prima accettato la donazione di padre Sergio, promettendo di costruire nuovi spazi per la biblioteca. Salvo poi accorgersi che di quella biblioteca non sa che farsene, e piantare a metà (o forse meno) i lavori di ampliamento.
È iniziata una contesa che oggi contrappone il comune a Daniele, erede di Padre Sergio. Ci si è infilato dentro il Vescovo di Cuneo che, a quanto pare, vuole allontanare Daniele dalla canonica.
In mezzo la biblioteca che rischia l’abbandono e il degrado. O ancora peggio, l’oblio. Non so come andrà a finire, ma è una buona ragione per sbrigarsi ad andare a visitare la biblioteca.
Eppure la biblioteca di Padre Sergio ha un grande valore: è un luogo che celebra come pochi altri il valore e la necessità di quella pratica un po’ maniacale che è il collezionare libri, pur non avendo il tempo (e forse anche la voglia, talvolta) di leggerli.
Padre Sergio nell’intervista racconta che quasi smise di leggere libri (e in particolare quelli troppo lunghi…) proprio quando iniziò ad acquistarne e ad accumularli, come se il piacere di essere circondato dai libri, di poterli guardare e toccare, si sostituisse al piacere della lettura – o almeno sublimasse il dispiacere di non avere il tempo che si vorrebbe dedicare alla lettura.
Pensiamo poi che il piacere di collezionare libri da molti secoli contribuisce a conservare la letteratura, il sapere e la memoria del mondo.
Dalla Biblioteca di Alessandria fino all’imparare a memoria i libri per salvarli dalla distruzione come immaginato da Ray Bradbury in Fahrenheit 451, il mondo si è sempre interrogato su come conservare il sapere del mondo.


Entrando nella biblioteca di Padre Sergio viene subito in mente la biblioteca – labirinto del monastero raccontato da Umberto Eco ne Il nome della rosa, che lo descrive come sperduto tra le montagne dell’Italia Settentrionale. E di ordine benedettino, medesimo ordine a cui apparteneva Padre Sergio. E non è certo un caso che Umberto Eco conoscesse bene la biblioteca di Marmora e ne fosse un sostenitore.
Al collezionare libri penso si adatti bene ciò che Italo Calvino diceva dello scrivere: “Scrivo perché scrivere non serve a nulla, e mentre scrivo penso che serva a tutto”.
E si adatta benissimo a questa biblioteca segreta: del tutto inutile in termini utilitaristici, importantissima come simbolo della necessità di non fare morire i libri in questa era di confuso passaggio al digitale.
Quanti di voi amano collezionare libri, o comunque amano acquistare più libri di quanti ne riescono a leggere? Io sono affetto da questa “malattia”, ma penso che sia un morbo che aiuta a vivere meglio. Se anche voi provate piacere anche solo a entrare in un luogo popolato dai libri, andate a fare un week end in Val Maira e passate dalla canonica di Marmora, in cima al paese.
Suonate senza timore al citofono della canonica biblioteca. Daniele (che trovate su Facebook come “Amico di Padre Sergio”) vi aprirà, vi offrirà un caffè e vi farà visitare la biblioteca. 

Se queste indicazioni di  Marco Salamon vi hanno intrigato e vi è venuta voglia di spingervi fino a Marmora, a sentire il Cibario, dovete visitare Percorsi Occitani e Escursioni in Val Maira per pianificare una camminata sui sentieri della Val Maira, che sono numerosi, ben tracciati (molte sono strade ex militari: siamo ai confini con la Francia) e in gran parte privi di difficoltà.

La passeggiata da non mancare? Salire al rifugio sul Passo della Gardetta e magari passare la notte lì. Se la notte è tersa potrete godere di una stellata che non dimenticherete facilmente.

Non preoccupatevi per dormire, la Val Maira è piena di agriturismi e di vecchie case trasformate in b&b: cercate su AIRBNB, Booking o su Invalmaira.it.  Seguendo sempre quando indica il Cibario bisogna andare all’Agriturismo Al Chersogno a San Michele di Prazzo, produttori di ottime patate di montagna, che hanno utilizzato con soddisfazione nella produzione del cibo che forniscono  o al b&b (con ristorante annesso) Al Breis a Marmora, dotato anche di bella sauna a legna che vale la pena farsi preparare per quando la sera si rientra da una camminata.


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