L’economia circolare risulta in estrema sintesi un modo per definire un sistema economico pensato per potersi rigenerare da solo. Secondo la definizione della MacArthur Foundation, in un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati a essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera. Dunque una concezione della produzione e del consumo di beni e servizi alternativa rispetto al modello lineare (ad esempio attraverso l’impiego di fonti energetiche rinnovabili in luogo dei combustibili fossili), che identifica come strategico il ruolo della diversità come caratteristica imprescindibile dei sistemi resilienti e produttivi.
È chiaro che si tratta di un vero e proprio cambio di paradigma e quindi di sistema socioeconomico e politico. Per rendere chiara la differenza tra economia lineare ed economia circolare possiamo usare la metafora del cowboy e dell’astronauta. Il cowboy è solo, sa dove andare e ha la prateria «a disposizione». Sa dove andare e sa cosa troverà. Il controllo dei pericoli dipende dalle sue capacità di prevenirli e dalla sua attenzione. Anche l’astronauta sa dove andare e solo in parte sa cosa troverà quando arriverà, molto è incognito. Anche l’astronauta è solo, ma dal suo comando dipende la vita di tutti coloro che sono nell’astronave. L’unica cosa «a disposizione» è la sua stessa astronave. Il controllo dei pericoli e quindi la sua stessa salvezza, dipendono sì dalla sua capacità di prevenzione, ma anche e soprattutto dalla miriade di sensori di controllo automatico, con logiche di feedback, miriade di processi, di fenomeni, di pericoli. Lo spazio non è più una risorsa alla quale accedere con facilità: è pericoloso uscire dall’astronave. E il tempo, anche quello della vita, sembra ritornare sempre su se stesso, come se fosse racchiuso in un attimo e nel contempo espanso all’infinito. La fisica dell’astronauta è quella dell’entanglement quantistico, che ha tanto inquietato Einstein, e cioè quel groviglio (appunto entanglement) tra spazio e tempo per cui, in modo del tutto controinduttivo, l’uno e l’altro si presentano come una struttura continua.
Abbiamo ripreso questa metafora del cowboy e dell’astronauta da Kenneth E. Boulding, The economics of the coming Spaceship Earth, che possiamo ritrovare nel testo di H. Jarrett Environmental quality in a growing economy, edito nel 1966 dalla Johns Hopkins University Press di Baltimora. Facciamo notare che è un testo di mezzo secolo fa, scritto, per altro, nel momento in cui diventa più potente e problematico il passaggio dal modo di produzione industriale a quello digitale, per intenderci. Nel momento in cui sta avvenendo la diffusione del personal computer e si attiva il primo collegamento internet non per ragioni militari ma tra università con fini scientifici.
Riportiamo alcuni passaggi del libro di Boulding: «Anche se in tono pittoresco, sono tentato di chiamare “economia del cowboy” l’economia aperta, perché il cowboy è il simbolo delle pianure sterminate ed è associato al comportamento spericolato, approfittatone, romantico e violento caratteristico delle società aperte. L’economia chiusa del futuro può essere invece definita come “economia dell’astronauta”, nella quale la Terra diventa una singola navicella spaziale, senza risorse illimitate a disposizione, sia per le possibilità di uso delle risorse che per la capacità di contenere i rifiuti, e nella quale, quindi, l’uomo deve trovare il suo ruolo all’interno di in un sistema ecologico chiuso capace di rigenerare continuamente i materiali, usando soltanto un apporto esterno di energia».
«Nell’economia del cowboy la produzione e il consumo sono visti come un qualcosa di positivo e il successo dell’economia è misurato dal rendimento dei fattori di produzione, una parte dei quali, a qualsiasi livello, è estratta dalle riserve di materie prime e un’altra parte rappresenta l’output dato dall’inquinamento e dai rifiuti».
«Al contrario, nell’economia dell’astronauta, la capacità produttiva non è affatto un obiettivo da massimizzare, quanto qualcosa che deve essere minimizzato. La misura essenziale del successo dell’economia non è affatto produzione e consumo, ma la natura, il limite, la qualità e la complessità del capitale sociale totale, che comprende le persone e le menti incluse nel sistema stesso».
Nelle logiche industriali, produzione e consumo procedono attraverso aggiunte e sottrazioni, con l’obiettivo intrinseco e dichiarato di «crescere». Ma già cinquant’anni fa sempre Kenneth Boulding, ci ricordava perentoriamente che «chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un pazzo, oppure un economista». In una visione sistemica, razionale, ecologica, l’analisi dei processi economici evidenzia una discrepanza tra il flusso materiale ed energetico che sostiene il processo di creazione e il consumo di risorse non riproducibili. L’errore sta lì: nel pensare che le risorse materiali siano riproducibili allo stesso modo di quelle naturali, che lo sono ma in periodi estremamente lunghi nel tempo, per millenni e multipli di millenni. Il ciclo biologico funziona come ciclo perché può contare sull’energia solare (introduce energia che non viene restituita), ma i cicli economici e produttivi non funzionano in questo modo. Un ciclo produttivo si apre con l’utilizzazione di risorse naturali e su prodotti della trasformazione e alla fine del ciclo, dopo la fase di uso del bene, si deve procedere alla sua demolizione, distruzione, quasi sempre in totale assenza di un recupero delle risorse originarie.
L’economia dell’astronave e quindi un’economia dello spazio limitato, che deve rapportarsi con il significato di «limite», un concetto che è ben rappresentato da una parabola illustrata dal biologo americano Garrett Hardin e contenuta in un articolo intitolato La tragedia dei beni comuni pubblicato nel 1968 sulla rivista «Science». Ed è ancora indicativo il fatto che questi temi siano emersi circa cin-quanta anni fa. Immaginiamo di avere un pascolo pubblico, grande, ma non illimitato, aperto a chiunque lo voglia utilizzare, ricco di acqua e di erba; arriva un pastore con dieci mucche che trovano spazio e nutrimento abbondante; i loro escrementi entrano nei cicli naturali e diventano alimento per l’erba; in queste favorevoli condizioni le mucche producono il latte che assicura un guadagno al pastore.
II pastore a questo punto pensa di poter guadagnare di più se fa pascolare cinquanta mucche, anziché dieci, nello stesso pascolo collettivo; il latte e il guadagno sono ora molto più abbondanti, e il pastore è contento, anche se non si accorge che la presenza di un maggior numero di mucche deteriora l’erba, e che gli escrementi sporcano l’acqua e peggiorano le condizioni del pascolo. Il pastore e sempre più avido e questa volta raddoppia a cento il numero delle mucche; all’inizio raccoglie un po più di latte, ma ora i piedi di tanti animali distruggono l’erba, cioè il cibo stesso delle mucche; anzi distruggono la stessa porosità del terreno che diventa duro e non solo non produce più erba, ma viene allagato delle piogge; gli escrementi sporcano l’acqua della palude in cui è stato trasformato il pascolo.
In breve il pascolo non c’e più né per il pastore e le sue mucche, né per chiunque altro. L’avidità privata ha così distrutto un bene di tutti, il pascolo pubblico. La parabola descrive un fenomeno che gli ecologi ben conoscono: quando una popolazione animale entra in uno spazio di dimensioni e con alimenti non illimitati dapprima la popolazione cresce rapidamente, poi cresce più lentamente, poi si stabilizza su un numero di individui che sono quelli che il territorio può ospitare senza entrare in crisi; tale numero prende il nome di carrying capacity , o «capacità portante», di un territorio.
La lotta tra produttivismo ed ecologismo nasce dunque da un diverso approccio: logica della produzione contro logica della conservazione. Ma il punto nodale del fraintendimento che ha generato questa lotta e che ha portato a rendere fortemente contrapposti due approcci che invece hanno la stessa radice, è che entrambi si misurano su ciò che è misurabile, ovvero che guardano solo al «materiale», alle risorse produttive e a quelle naturali, poggiando le loro convinzioni e la loro contrapposizione sugli elementi fisici, materiali. È un percorso che non considera minimamente i fattori non contabilizzabili , dato che giocala misura della sua rendita e quindi della sua capacità produttiva sul prodotto interno lordo.
Ma entrambi questi approcci hanno un punto di vulnerabilità nel fatto che guardano al mondo dallo stesso punto di vista, non considerando l’altro fattore che incide in modo strategico sullo sviluppo e sulla gestione della casa: l’immateriale. Se c’è il materiale c’è anche l’immateriale, ma fino a oggi non l’abbiamo considerato all’interno dei cicli produttivi perché non misurabile e non in linea con la linearità dei processi industriali. Ma come ormai abbiamo ribadito più volte, il modo di produzione industriale oggi non è più il paradigma sul quale sviluppare la società. Il nuovo paradigma, che si è già affermato e che tuttavia non è ancora al centro di riflessioni adeguate, è il modo di produzione digitale. Prima di addentrarci in questo aspetto, vale la pena sottolineare come nei nostri processi conoscitivi sia, necessario introdurre un approccio che consideri l’oggetto e il suo contrario, come ben esemplificato nel taijitu, il famoso simbolo della cultura cinese che rappresenta i concetti di Yin e Yang, e che spiega meglio di qualsiasi altro esempio come a ogni elemento, a ogni azione, corrisponda non solo il suo contrario, ma come il seme di questo «contrario» sia contenuto proprio all’interno del fenomeno analizzato.
In Europa ci ha provato Newton a spiegare questo concetto, con il famoso terzo principio della dinamica: «a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria». Fisica e filosofia, dunque. Per capire, per comprendere. La crisi economica ha messo in luce, evidenziandole e rendendole palesi, le numerose contraddizioni del sistema di sviluppo lineare e industriale «a crescita infinita», sul quale la nostra società e la nostra economia si sono basate fino a oggi. Consumo di suolo, consumo di risorse non riproducibili, sfruttamento delle risorse naturali, modelli di produzione e consumo che non tengono conto delle esternalità prodotte, sono tutti elementi ben conosciuti e analizzati nel campo dell’economia ambientale e nell’economia del benessere, ma poco frequentati fino a oggi. Ma la crescita che abbiamo promosso dal dopoguerra in poi deve fare i conti con la finitezza delle risorse.
Quelle che avete appena letto sono le pagine, dalla 76 in avanti, del libro La società Circolare – Aldo Bonomi, Federico Della Puppa, Roberto Masiero edito da Derive Approdi nella collana Comunità Concrete.
E’ un libro che vi consigliamo fortemente di leggere perché quanto vi abbiamo raccontato in Passato, presente e futuro di Ciboprossimo.net è stato molto influenzato anche da queste letture e ci sembrava giusto iniziare ad onorare questa fonte perché, la metafora dell’astronauta e del cowboy, è quella che meglio si adatta ad illustrare quello che stiamo cercando di fare.
Se l’astronave è la terra e la crisi in cui versiamo è reale è bene che impariamo in fretta a riconfigurare i nostri comportamenti in base alle nostre conoscenze. Ci servono dei cruscotti, degli indicatori che ci insegnino da un lato e ci guidino dall’altro a fare tutto il possibile per avere un futuro, proprio come su la plancia di un astronave.
Delle persone coscienti dei problemi che hanno, non possono non tirarsi su le maniche ed agire per risolverli.
Le competenze informatiche hanno contribuito a risolvere il problema della rappresentazione delle informazioni creando dei cruscotti con cui guidare l’astronave. Senza l’aiuto di chi ha agito lungamente sui territori era impossibile enucleare quali concetti potessero fungere da indicatori per distinguere cosa funziona da cosa bisogna correggere.
Il Fabbisogno e le Risorse di un territorio, la Disponibilità e le Produzioni di un certo prodotto, grazie alla disponibilità delle Filiere necessarie a tramutare le prime nelle seconde, crediamo che sia una sufficiente cassetta degli attrezzi per iniziare.
La distinzione tra il comportamento del cowboy e quello dell’astronauta è quello che ha guidato la trasformazione dei dati di ISTAT, adatti a supportare una economia dei flussi, a informazioni che spingano ognuno ad agire nel proprio territorio, scoprendone da un lato tutte le caratteristiche e dall’altro aprendosi al dialogo con i territori vicini per capire come insieme sia possibile cambiare quanto di negativo sta attualmente accadendo.
Se queste poche righe hanno dato forza al nostro progetto, non siete curiosi di conoscere quali altre preziose risorse contengono le altre pagine di Società Circolare?
Buona lettura.
Punto.Ponte
L’ha ribloggato su Punto.Pontee ha commentato:
Per rendere chiara la differenza tra economia lineare ed economia circolare possiamo usare la metafora del cowboy e dell’astronauta. Il cowboy è solo, sa dove andare e ha la prateria «a disposizione». Anche l’astronauta sa dove andare e solo in parte sa cosa troverà quando arriverà, molto è incognito.