Bergamo è una provincia maidicola, cioè del mais, e ciò è evidente anche solo assaporando le ricette tradizionali. Il mais è l’ingrediente principale della nostra cucina, sia come ingrediente diretto sia come alimento indiretto.
Più alimentazione animale
Farina di mais, acqua e sale sono alla base dell’icona della nostra cucina, la polenta. Tuttavia, la maggior parte del mais prodotto sul nostro territorio è destinato all’alimentazione animale. Nel 2017 sono stati prodotti 1.424.410 quintali di mais e 3.528.450 quintali
silomais (alimento zootecnico che si ottiene dalla trinciatura dell’intera pianta di mais) e utilizzato per alimentare gli animali da cui ricaviamo salumi e formaggi tipici, un introito importante della nostra economia.
Per la maiscoltura italiana l’annata 2017 è una delle peggiori degli ultimi 25 anni. A livello nazionale la produzione si è fermata sotto i 6 milioni di tonnellate e a livello europeo l’Italia è scesa al quarto posto tra i paesi produttori di mais, con una quota di produzione del 9%, a fronte di un 15% del 2013. Un calo che si è registrato anche nella nostra provincia, per la quale la maiscoltura ha da sempre rivestito un ruolo primario sotto diversi punti di vista.
Terra di innovazione
Per la nostra provincia il mais è, inoltre, anche ricerca ed innovazione. Nel XX secolo la Bergamasca ha contribuito con un ruolo da protagonista allo sviluppo della maiscoltura italiana e la sua importanza fu riconosciuta a livello istituzionale, tanto che, nel 1920, Curno fu considerata la località più idonea per la realizzazione della Stazione Sperimentale per la Maiscoltura. Questa realtà divenne in poco tempo un punto di riferimento nel campo della ricerca sul mais sia a livello nazionale sia europeo. Fu, infatti, nel secondo dopoguerra che il Centro di Ricerca introdusse e studiò gli ibridi di mais americani e iniziò il programma diraccolta e conservazione delle antiche varietà tradizionali italiane, per tutelarne la grande biodiversità. Nella sola Lombardia se ne contano 65 e la nostra regione è la seconda italiana con la maggior biodiversità maidicola (prima è il Veneto con 92).
I laboratori a Stezzano
Oggi l’Unità di Ricerca per la Maiscoltura (CRA-MAC), che fa capo al ministero delle Politiche Agricole e Forestali, si trova a Stezzano e nei suoi laboratori sono portate avanti due linee di intervento.
La prima si concentra sul miglioramento genetico del mais, attraverso metodi tradizionali che non prevedono manipolazioni genetiche, mentre il secondo filone sviluppa il progetto di conservazione della grande biodiversità maidicola italiana, iniziato nel secondo dopoguerra.
La collezione più grande d’Italia
Al Crea Cerealicoltura e Colture Industriali è conservata la Banca dei semi. In celle a 5°C sono conservati più di 5.700 accessioni vegetali che sono periodicamente riprodotte in campo. La collezione comprende: oltre 600 varietà tradizionali e antiche della penisola; 562 popolazioni locali provenienti da tutto il mondo; 476 popolazioni sintetiche; 426 linee pure e 3590 linee inbred. Si tratta della collezione più ampia di tutta Italia.
Recupero delle varietà
Scopo della Banca del seme orobica non è solo conservare ma anche promuovere il recupero delle varietà locali. Il prezioso patrimonio orobico di biodiversità maidicola rappresenta un’occasione di reddito per un numero sempre crescente di aziende agricole; tanto che negli ultimi otto anni gli ettari coltivati con queste linee locali sono saliti a circa 45.
Nelle nostre valli sono sempre di più gli agricoltori che scelgono le antiche varietà per la realizzazione di farine e prodotti da forno, trasformando le loro esperienze in un volano di rilancio territoriale basato sui principi della biodiversità e della sostenibilità, alcune di queste realtà sono infatti presidi slow food.
Il recupero di queste antiche varietà non sembra essere solo un’operazione nostalgica ma un modo di ripensare alla produzione e alla gestione del territorio e ben si inserisce nel dibattito internazionale delle sfide future a cui la maiscoltura dovrà trovare risposta nei prossimi anni, tematica al centro del G7 dell’agricoltura che la nostra città ha ospitato nell’ottobre scorso.
Nel 1632 le coltivazioni a Gandino
Il mais giunse in Europa alla fine del XV secolo, nel 1552 in Lombardia e a Bergamo il primo campo a “melgotto” fu coltivato a Gandino nel 1632. La diversità territoriale e le svariate tecniche agronomiche italiane hanno permesso la differenziazione di varietà maidicole nel corso dei secoli. In Italia si contano circa 600 varietà antiche e tradizionali con adattamenti alle diverse condizioni ambientali e differenti proprietà organolettiche e nutritive.
Le nostre varietà più note
Tra le varietà orobiche le più note sono lo Spinato di Gandino e il Rostrato Rosso di Rovetta, Scagliolo di Carenno, Nostrano dell’isola, ma ne esistono molte altre.
Nonostante la grande varietà maidicola italiana, la patria di questo cereale rimane l’America Centrale. Fu coltivato per la prima volta nella località di Oaxaca in Messico che ancora oggi rappresenta l’area con la maggior biodiversità maidicola di tutto il mondo.
Un immenso patrimonio
Questo immenso patrimonio è conservato e protetto nell’istituto del CIMMYT International Maize and Wheat Improvement Center, nato da un programma sponsorizzato dal governo messicano e dalla Fondazione Rockefeller negli anni ’40 per aumentare la produttività agricola in Messico.
Realizzata nel 1943, oggi la banca del germoplasma conta 175.000 accessioni vegetali da più di 100 Paesi, e la sola banca del mais contiene 28.000 campioni di varietà locali; a questi campioni si aggiungono semi di parenti selvatici del mais, quali teosinte e tripsacum.
Deposito di risorse genetiche
La collezione si può ben considerare un deposito di risorse genetiche per due delle colture più importanti per l’alimentazione umana: mais e grano.
Tutti i semi conservati al CIMMYT sono liberamente disponibili e negli ultimi 25 anni sono state distribuite oltre 91.000 varietà di mais e 158.000 di grano a ricercatori e agricoltori in tutto il mondo, per contrastare fame e carestie.
Inchiesta uscita sull’inserto dell’Eco di Bergamo Giallo Più nel maggio 2018 a firma Roberta Salvi