Abbiamo chiamato Piano di Comunicazione per il progetto Costruendo Ruralopoli, evocando gli strumenti del Marketing, una prova sul campo di quello che stiamo analizzando in questi giorni noi di Ciboprossimo assieme alla Scuola Ambulante di Agricoltura Sostenibile, Angelo Sofo di Orto di Cesate, a Alessandra Iero e CilentoLab.
Stiamo occupandoci delle Comunità di Pratica, e quello che stiamo chiamando Piano di Comunicazione è in realtà il processo che vogliamo attivare per creare una specifica Comunità di Pratica che, come vediamo in questa immagine, è composta da un Dominio, una Pratica e una Comunità.

Cercheremo dunque di istituire una Pratica con la quale:
- come indicativo presente del verbo praticare, faremo riferimento a qualcosa di attivo, a quello che devono fare un gruppo di persone;
- come sostantivo faremo riferimento agli strumenti da usare per fare, evocando la pratica cartacea, il modulo da compilare di una volta.
Il Dominio del problema è l’oggetto del quale dobbiamo trasferire la conoscenza. La parola Comunità fa riferimento contemporaneamente sia all’insieme delle persone che potenzialmente pensiamo ne possano far parte, incluso chiaramente noi stessi, sia a quelle che, alla fine del processo, ne faranno parte dato che, adottando la stessa pratica, condivideranno lo stesso dominio del problema.
Quindi, quello che impropriamente stiamo definendo come Piano di Comunicazione, sono le azioni che ci permetteranno di costruire una comunità che arrivi a conoscere e a definire la stessa interpretazione della realtà attraverso una pratica condivisa.

Stiamo dunque riferendoci a quel set di azioni, che noi adesso cercheremo di definire, tramite le quali catturare l’attenzione e poi stimolare la partecipazione, per fare quel qualcosa di concreto che è possibile raggiungere solo tramite la collaborazione dei protagonisti di una comunità. E’ evidente che dobbiamo partire dal fatto che le persone capiscano quello che vogliamo fare per poter poi tramutare questa comprensione in azioni che le persone facciano per raggiungere l’obiettivo che ci siamo posti.
Dunque se non riusciamo a coinvolgere attivamente le persone a fare quello che ci siamo proposti, le azioni che comporranno questo Piano di Comunicazione, non riusciremo mai a raggiungere l’obiettivo che abbiamo definito.
Dalla monodirezionalità alla bidirezionalità
Quando ci hanno comunicato l’avvio del progetto abbiamo costituito subito il gruppo che si sarebbe occupato del blog e della comunicazione social e abbiamo orientato la sua ricerca al recupero del materiale che avrebbe definito il dominio del problema, l’oggetto del trasferimento di conoscenza. E’ partita dunque la comunicazione in modo tradizionale e cioè in push, monodirezionale, dall’emittente al ricevente. Traduciamo il dominio del problema in parole, queste le mettiamo su un blog e poi le diamo a qualcuno, che non è assolutamente obbligato a leggerle. ma soprattutto non è obbligato a restituire qualcosa per cui noi per raggiungere quello che ci siamo preposti dobbiamo fa evolvere questa modalità operativa.

Per passare dalla monodirezionalità alla bidirezionalità dobbiamo avere ben chiaro due meccanismi. Il primo, da cui partire, è la conoscenza delle persone con cui dobbiamo interagire. Conoscere quali sono le cose a cui tengono maggiormente ci permetterà di stimolarli a partire dai loro interessi. Se li conosciamo noi è molto probabile che col tempo si conosceranno tra di loro, creando quella comunità che ci siamo posti come obiettivo.
L’altro meccanismo a cui dobbiamo fare riferimento è quello che riguardava le modalità di sviluppo di una rete sociale. Se prendete WhatsApp, come esempio della socialità nelle applicazioni Internet, capirete che lo schema di engagement parte da qualcuno che ci trova, una volta entrato in contatto deve decidere di interagire con noi, a questo punto può dirlo ai suoi contatti, quando gli altri ricevono il suo invito, se decidono di aderire, a loro volta iniziano a partecipare tornando quindi nella condizione dalla quale siamo partiti e così via. L’iterazione continua provoca dunque la formazione e l’espansione della comunità.

Per cui il nostro obiettivo da un lato è di farci trovare, fare in modo tale che questi decidano di lavorare con noi e convincere questi a chiamare gli altri per farli partecipare a loro volta.
Quindi quello che faremo è di scegliere quali sono le azioni più efficaci per ottenere quanto questi due meccanismi ci hanno illustrato.
Quanto indicato abbiamo cercato di farlo con il primo articolo su Slow Food. Abbiamo stimolato noi a fare un’attività, l’intervista per il trentennale. Li abbiamo incontrati, preso del materiale con cui abbiamo composto l’articolo del blog, quindi lo abbiamo restituito tramite una riunione e probabilmente, anche se non sono molto sicuro, nella cena di ieri sera. Questo materiale include il dominio del problema, cos’è Ruralopoli, solo tramite una domanda generica fatta ai protagonisti. Rispetto allo schema generale abbiamo generato una relazione debole perché non sappiamo né se ci permetterà di incontrare questa comunità un’altra volta né se a loro volta lo diranno a tutti gli associati.

Schematizzando quanto avvenuto, la pratica da attuare è di incontrare un soggetto qualsiasi che appartiene alla comunità, stimolarlo a farci capire chi è, mettere queste informazioni da qualche parte, tipo il blog, e fare in modo che gli venga restituito portandoli sul blog o sugli altri strumenti che abbiamo come Facebook, WhatsApp o delle mailing-list.
In seguito è fondamentale farlo partecipare ad un evento che è il luogo dove noi restituiremo quello che abbiamo capito di loro.

Se fino ad adesso abbiamo parlato di quello che loro danno a noi è importante iniziare a parlare di quello che noi diamo a loro. Quando lo mettiamo sul blog dobbiamo trattare quello che loro esprimono come domande alle quali il dominio del problema può dare risposte.
Ad esempio un ciclo sui GAS, cosa che potrebbe succedere a breve, dovrebbe partire da del materiale raccolto in un pre incontro con queste realtà, sarà a questo punto che, quando scrivo il pezzo per il blog, si dovrebbe dire qualcosa a proposito della relazione tra i GAS e la CSA. Se il materiale raccolto non ce lo dice noi analizzando quel testo dobbiamo riuscire a capire che cosa c’entra con noi e anche se fosse in negativo proporre dei collegamenti per generare l’engagement successivo. Quando lui leggerà il testo, ed è per questo che sono molto importanti le foto, rivedrà una sorta di dialogo tra quello cha a lui interessa e il dominio del problema e sarà in grado di darla a qualcun altro perché potrà parlare di qualcosa che a lui importa. Visto che abbiamo aggiunto qualcosa, questo contaminerà la comunità che lui rappresenta. Lui diventa quindi un veicolo degli elementi che costituiranno la Comunità di Pratica. Questo potrà avvenire solo se non stiamo dicendo delle cose fuori contesto ma qualcosa inerente a quello che lui sta facendo.

Ad esempio il lavoro che sta facendo l’Alessandra con l’IPCC andrà raccordato con qualche esigenza dei GAS, ammesso che esista una relazione. Se questa fosse debole utilizzeremo il lavoro che ho fatto su Arvaia e se, anche con questo, non trovassimo alcun legame, allargheremo i nostri orizzonti per trovare quel qualcosa di comune interesse. Se non dovesse succedere vuol dire che il dialogo è impossibile segnalandoci che tra quello che stiamo facendo e i GAS non esiste una relazione e che quindi questi, ad esempio, non potranno mai fare parte della comunità perché in questa non potranno mai trovare soddisfazione a dei loro bisogni.
Nel passare dalla monodirezionalità alla bidirezionalità abbiamo fatto riferimento a due meccanismi. Se quanto abbiamo detto trova riscontro nel primo è la partecipazione agli eventi dove diamo corpo ad entrambi. All’incontro dei GAS, Chiara ha invitato un pubblico più ampio rispetto a quella comunità. Se la persona con cui abbiamo aperto un dialogo utilizza l’evento come luogo per aggiungere, approfondire i temi trattati questo da lato include le persone della sua comunità ma stimolerà gli altri ascoltatori a partecipare. Se noi li mappiamo e iniziamo con ciascuno di loro un percorso analogo a quanto descritto otterremo quel fenomeno di espansione delle reti del quale abbiamo parlato a proposito di WhatsApp.

Gli eventi che abbiamo previsto in Costruendo Ruralopoli sono essenzialmente di due tipi. Alcuni sono di divulgazione all’interno di istituzioni come le Scuole e le Università e molto probabilmente saranno lezioni frontali in un’aula, gli altri sono eventi conviviali. In questi ultimi se i componenti della somministrazione, cosa gli diamo da mangiare, sono prodotti o trasformazioni culinarie che arrivano fisicamente da soggetti territoriali come una rete di produttori di un GAS, oppure dal Mercato della Terra, oppure dal mercato di Cristian, dai ristoratori di Slow Food, sviluppiamo un meccanismo di inclusione analogo a quello che abbiamo visto con i contenuti. Più semplice, perché li potremmo includere solo facendogli pubblicità, ma contemporaneamente più forte, primo perché facciamo fruire agli invitati del cibo che comunica in modo più profondo, visto che parla a tutta la persona e non solo alla sua parte razionale, e secondo, forse più “venale”, perché alcune aziende possono trarne del beneficio economico. Il cuoco, il produttore si trova dunque nella medesima condizione dei soggetti dei quali abbiamo parlato prima e dovrebbe analogamente essere interessato a dirlo alle proprie reti. Interessante è di chiedere a tutti di contribuire aggiungendo, a quello che il progetto è in grado di pagare, delle donazioni, in cibo o in denaro, ma questo è un discorso che approfondiremo in seguito. Fare gli eventi nei mercati moltiplica l’effetto di incontro ma questo penso che sia evidente a tutti. Lo scambio in ambito conviviale è dunque un meccanismo che ci permette, in modo analogo ai contenuti, di includere altri interlocutori che possono comprendere la nostra attività dalla partecipazione all’evento in sé.

Tutto questo ci dovrebbe insegnare che ogni volta che noi ragioniamo su un’azione da fare bisogna capire fondamentalmente il vantaggio che l’interlocutore ne trae partecipando. Quindi la mappatura delle reti non può essere staccata dall’idea di connotare quali benefici ciascun nodo può trarre dalla collaborazione e viceversa. Ad esempio la visibilità, non dimentichiamo che siamo un sistema di comunicazione, è un vantaggio che noi possiamo offrire visto che alcuni alcuni di questi soggetti non hanno siti e non sono presenti sui social in modo formale.

Tutto questo lo possiamo definire come il nostro sistema di relazionale verso l’esterno. L’obiettivo delle nostre azioni è orientato a propagare il nostro sistema relazionale facendosi conoscere dal territorio.
Interloquiamo con delle persone, appartenenti al territorio bresciano, con un meccanismo molto semplice, dateci qualcosa che noi vi restituiamo qualcosa d’altro e tutto questo ci permette di alimentare i social, alimentare il blog e tutti gli altri strumenti che attiveremo. Dal monodirezionale siamo passati al bidirezionale ma con un meccanismo tutto sommato molto debole perché dipendiamo dalla loro volontà di dire all’esterno quello che insieme stiamo facendo. Tranne che nei contratti di fornitura per i produttori degli eventi non esiste un motivo “reale” che spinga le persone ad agire per il progetto. Un eccezione potrebbero essere i GAS. L’inclusione di un loro protagonista, anche solo a livello di contenuto, vista la sovrapposizione tra il dominio del problema di una CSA e di un GAS, potrebbe generare quella diffusione naturale di cui abbiamo bisogno, tra le molte famiglie che compongono ciascun gruppo di acquisto. Alcuni GAS che hanno partecipato alle prime riunioni hanno tra il loro associati anche 70 famiglie. Parli con pochi soggetti, quelli più attivi, e le loro mailing-list possono diventare dei canali nei quali fare passare i contenuti che abbiamo prodotto e partecipare agli eventi che organizziamo.

Questo passaggio è comunque fondamentale perché, mutando la modalità di scrittura degli articoli e dei posts su Facebook noi interagiamo, con degli stakeholders reali che sul territorio hanno una qualche motivazione per dire che Ruralopoli esiste.
L’interazione con realtà territoriali quando passa sui social può provocare dei comportamenti che potrebbero, con altri soggetti, dare dei risultati analoghi. Se riusciamo a fare capire che noi stiamo valorizzando “qualcuno che sta facendo qualcosa”, cioè “stiamo facendo qualcosa per lui” probabilmente, con i social, riusciamo a convincere qualcuno ad emularci facendogli “fare qualcosa per noi”, come una condivisione o un like. Quando mettiamo i contenuti di un dialogo sui social è come se chiedessimo agli attori della conversazione di “mettere la loro faccia” per Ruralopoli. Il diventare “testimonial” di Ruralopoli può essere ottenuto con altri soggetti in modo molto più consono alle caratteristiche applicative degli strumenti social facendo leva sul farsi vedere, sul partecipare a concorsi ecc. Un buon esempio era quanto si vedeva in città anni addietro dove qualcuno diceva qualcosa di spiritoso in un box connotato con la campagna di un’azienda. Video di questo tipo si basano sullo stesso meccanismo ma si riferiscono per la leggerezza del format ad altri soggetti e possono espandere la comunità in aree diverse ma importantissime da includere.

Un buon esempio di questo è la campagna di Greta Thunberg, dove il box è sostituito dai suoi cartelli, quando si metteva il venerdì davanti alla sua scuola. E’ un meccanismo prettamente individuale ma quando andrà sui social il protagonista tenderà a distribuire il video ai suoi amici. Queste testimonianze potrebbero essere già raccolte con i frequentatori della cascina e i partecipanti agli eventi.
Noi non sappiamo cos’è Ruralopoli
Questo titolo sembra una provocazione ma è la realtà attuale e futura. E’ un passaggio molto più complesso del precedente perché è riferito a noi come gruppo zero di tutti quelli che andremo ad includere. Fino ad adesso abbiamo solo proiettato quello che noi conosciamo del dominio del problema e abbiamo scritto dei testi che lo documentano. In realtà quei testi non dicono come il dominio del problema si concretizzerà in Ruralopoli. Abbiamo fatto dei discorsi sui campi, sull’energia ma dato che non sappiamo veramente che cos’è Ruralopoli questo potrebbe essere da un lato visto una grossa debolezza dall’altro lato potrebbe visto come una nostra forza sempre che riusciamo a spettacolarizzare il nostro processo di conoscenza di Ruralopoli.

La tecnica precedente è in realtà una forma di spettacolarizzazione. Infatti non abbiamo solo chiesto a qualcuno di raccontarci di lui e gli abbiamo risposto qualche cosa ma, quanto raccolto, l’abbiamo restituito in una forma testuale gradevole a terzi quindi l’abbiamo spettacolarizzato. D’altro canto i dialoganti, in una qualche maniera, hanno iniziato reciprocamente a conoscere, in positivo o in negativo, che cosa sanno di Ruralopoli.
L’accumulo di questo tipo di materiale, ad un certo punto, con dei processi che dobbiamo definire, dovrebbe, in qualche maniera, aumentare di intensità. Se guardate come è fatto il bando riconoscerete questa progressione legata alla profondità del processo conoscitivo visto che, si parte dal distribuire delle informazioni di tipo generico, per arrivare alle famose assemblee dove le persone devono fare qualcosa. Se riusciamo a spettacolarizzare questo processo probabilmente trasformeremo delle risposte generiche a domande sul dominio del problema in azioni che permettano di Costruire Ruralopoli.

Quello che dobbiamo dunque pensare e declinare sono tutte quelle situazioni che, includendo gli stakeholders, li portino ad agire in modo concreto. Dobbiamo creare le condizioni perché la partecipazione si trasformi in collaborazione.
Dobbiamo dunque pensare una coreografia dove in ciascuna scena sia data ai protagonisti l’opportunità di dare il proprio contributo alla costruzione di Ruralopoli. Nelle prime scene abbiamo risposto alle domande e ai dubbi su Ruralopoli postoci da ciascun stakeholders. Il prosieguo non può evitare di arrivare alla rappresentazione dello scenario finale partendo dalla sua progettazione disegnando tutte le azioni intermedie necessarie a conseguirlo. Inizialmente ci saranno degli spettatori ma alla fine tutti dovranno salire sul palco perché hanno capito qual’è il ruolo che possono svolgere.

Con un Orto a Milano, senza questo livello di consapevolezza nella progettazione della coreografia, abbiamo costruito un percorso analogo. I primi che hanno avuto l’idea hanno costruito lo spazio zappando la terra. I soldi per il compost e i primi strumenti sono stati raccolti con un crowdfunding in rete. Sono stati chiamati degli esperti a progettare l’orto e i semi necessari ce li hanno donati dei seed savers che conoscevamo. Assieme a quelli selezionati in uno scambio semi autorganizzato sono stati distribuiti ai cittadini che li hanno trasformati in piantine nelle loro case. Quelli che nel frattempo hanno conosciuto l’orto le hanno piantate. Mancando l’acqua per innaffiare, le piantine in eccesso sono state vendute, durante una festa e con il ricavato sono stati acquistati i tubi per l’impianto a goccia e così via. Come vedete ogni passaggio implica “un’azione fatta insieme” per raggiungere un obiettivo che mano a mano diventava sempre più chiaro. Alla fine i prodotti dell’orto li abbiamo mangiati.

In Costruendo Ruralopoli è già partito qualcosa di analogo pur mancando quel livello di consapevolezza che dovremo progettare a fronte di quanto descritto in questo documento.
E’ stato fatto un Bando per riempire di siepi mellifere quel territorio dando da mangiare alle api. Non è andato a buon fine ma quelle piante possono essere ottenute anche in modo gratuito e per ottenere lo stesso obiettivo potremo chiedere l’aiuto dei cittadini per piantumare. Nel farlo insieme capiranno l’importanza delle api e perché Ruralopoli può essere una risposta ecologicamente virtuosa. Ma lo capiranno facendo. Qual’è il ruolo della componente energetica nel rendere circolare un’economia agricola è stato affrontato nel vedere la Fattoria della Piana che la utilizza non per un ciclo legato ai cereali ma in ciclo di produzioni animali. Sono stati analizzati le implicazioni energetiche per lo specifico produttivo della Val Trompia. Si è cercato di capire come dei funghi particolari potrebbero dare del reddito alla cascina. L’esperienza milanese delle 100 varietà di pomodori come potrebbe finire nell’orto locale e magari stimolare una popolazione di ortive accanto a quella dei cereali. Si sono guardate in modo approfondito altre CSA per capire come modellare Ruralopoli.
Come vedete non è sufficiente fare ma bisogna che questo diventi collettivo e spinga alla collaborazione.

Chiaramente a quanto detto si accompagnano gli elementi conviviali e si agisce in conformità agli elementi di rete visti precedentemente. E’ evidente che entrambi questi piani saranno influenzati dal trasformare la partecipazione in collaborazione.

Ruralopoli è molto più complesso di Un Orto a Milano perché l’obiettivo è di costruire una comunità sostenibile dal punto di vista agricolo, energetico ma soprattutto economico. La progettazione della piantumazione delle siepi, che appartiene alla componente agronomica, non può prescindere dalla componente economica anzi spesso è questa la cartina di tornasole che indica quali azioni intraprendere e fornisce le modalità di valutazione dei risultati. La terra è una risorsa che lavorata, non depredata, continuerà, seguendo i cicli naturali, a produrre valore moltiplicando le risorse investite. Per rendersene conto basta vedere la quantità di biomassa presente in una pianta rispetto a quella di cui è composto un seme. Anche se ciascuno di noi non ha mai condotto un’azienda agricola avrà dovuto confrontarsi con il proprio reddito e come questo sia in grado di soddisfare il proprio tenore di vita. E’ per questo che l’analisi economica dei risultati e la valutazione delle risorse necessarie a raggiungerli è una leva più intuitiva di altre che non appartengono al nostro vissuto. Un meccanismo che stimola la collaborazione che avete visto anche in Un Orto a Milano è di partire da delle attività di microfinanziamento ad esempio degli strumenti che servono per coltivare o trasformare. E’ chiaro che se chiedo di recuperare €800.000 è una missione impossibile. Se però chiedo di recuperare €3000/5000 per un mulino con il quale trasformare la farina ci si può arrivare e l’utile che si otterrà dalla trasformazione della granella potrà contribuire a comporre nel tempo tutte le risorse necessarie. La terra e la nostra intelligenza garantiscono meglio il benessere dei nostri figli del rendimento di un investimento finanziario. Questo è solo un esempio delle scene che devono comporre la coreografia di cui abbiamo parlato.
A ciascuno il suo messaggio
L’ultimo elemento del quale dobbiamo tenere conto nel nostro Piano di Comunicazione è qualcosa di molto ovvio per chi si occupa di questi temi ma che va ribadito visto che per la natura collaborativa del progetto probabilmente chi si occuperà di questo potrebbe non essere un professionista: i messaggi devono adeguarsi alla struttura dei canali in cui vengono distribuiti e alla caratteristiche di chi li riceve.
Dobbiamo costruire un knowledge base. Per non essere autoreferenziali deve scaturire dal percorso di progettazione condivisa che abbiamo descritto prima. Questo diventerà la fonte dal quale prendere i contenuti che andranno via via adattati alla forma del canale dove devono essere veicolati tenendo conto delle specificità del ricevente.

Il contenuto del knowledge base dovrà diventare testo di media lunghezza per il blog, testo breve e immagine quando usciamo su Facebook , immagini e infografiche per Instagram e così via. Se ne potranno trarre i soggetti per un video. Potremmo trasformarlo in poster perché questi sono gli strumenti più idonei per connotare il luogo di un evento, essere esposti in un mercato o accompagnare le lezioni frontali nelle istituzioni. Un altro canale che noi sempre sottovalutiamo è il cartaceo. Ad un apericena o in incontro è necessario che chi ci incontra e vuole rimanere in contatto con noi possa portarsi via una cartolina o una brochure. Privilegiando l’online è evidente che l’offline deve solo evocarlo e contenere le tracce per raggiungerlo. Dove coltiviamo è importante che ci siano poster esplicativi di quello che stiamo facendo perché chi raggiunge quei luoghi ha un alto livello di attenzione e quindi è molto ricettivo a quello che gli viene detto. E’ importante spiegare a tutti quello che stanno vedendo. Evitiamo gli square code e rimaniamo molto sul convenzionale.

Maddalena
Letto tutto alla velocità della luce a colazione, pensando a una albanese alla quale ho carpito la ricetta del baclava alla cassa di un supermarket e merita visibilità. Segue post sul blog