L’opera di Jan Douwe van der Ploeg è risultata di estrema importanza per il rinnovamento degli studi della sociologia rurale, in Italia e in Europa, in un periodo di nuove importanti trasformazioni delle aree rurali e dell’agricoltura, effetto in parte delle politiche di sviluppo, ma soprattutto della capacità dei diversi attori (produttori e contadini, cittadini-consumatori, e poi agenti di sviluppo) di confrontarsi con i processi di transizione e di crisi agraria, di immaginare e ricreare un rapporto diverso con le risorse territoriali e concepire il ruolo fondamentale dei contadini.
Quello che avete appena letto è il paragrafo iniziale della postfazione italiana che Alessandra Corrado e Benedetto Meloni hanno scritto del libro di Jan Douwe Van Der Ploeg I contadini e l’arte dell’agricoltura – Un manifesto chayanoviano. Essendo un testo che contiene molte tesi, a cui abbiamo fatto riferimento in questi anni nell’individuare quale mondo agricolo era per noi significativo, ci siamo permessi di riportare una parte di questa postfazione perché riassume ottimamente il contenuto del libro. Il testo va assolutamente letto nella sua interezza anche per scoprire quali strade Alessandro e Benedetto consigliano di percorrere per aiutare questo mondo in modo concreto.
Gli studi realizzati in Sardegna, nel Sud dell’Italia o nelle aree periurbane di grandi città, come Roma o Milano, evidenziano percorsi di sviluppo rurale incentrati sulle trasformazioni promosse da “imprenditori pentiti” o da “nuovi contadini”, sulla costruzione di “mercati nidificati”, sulla ricerca costante di nuovi equilibri tra “utilità” e “fatica”. La multifunzionalità delle nuove aziende contadine riflette in fondo le caratteristiche di un modello del passato o della tradizione, ma al contempo intercetta un insieme di bisogni contemporanei. Oltre che strategia di riproduzione, la multifunzionalità è oggi orientata alla lavorazione diretta di nuovi e diversi prodotti, alla generazione di servizi, non necessariamente “mercificatili”, al recupero e alla gestione della biodiversità, a rispondere a nuovi bisogni sociali. In questo senso l’agricoltura contadina, invece che essere statica, produce innovazioni o novelties, tradotte in pratiche, prodotti e funzioni, in “laboratori in campo”, in processi di coproduzione con la natura, inclusi nel concetto di Agronomia Sociale coniato da Chayanov e che Van der Ploeg legge nell’esistenza di stili agrari differenti.
La cooperazione e i tessuti connettivi multiformi tra le aziende e i soggetti diversi portatori di interessi, presenti entro il medesimo sistema locale ma anche distanti, risultano fondamentali, non solo per migliorare le performance economiche delle aziende e il riposizionamento all’interno delle filiere, ma anche sotto il profilo di processi di apprendimento finalizzati all’innovazione, per fronteggiare i problemi di un “ambiente ostile”, che di continuo minaccia la riproduzione e l’autonomia dell’azienda. All’interno di queste reti, e delle forme di cooperazione che le caratterizzano, si va costruendo anche una nuova idea di qualità e una diversa significazione del cibo, basata su circuiti di scambio alternativi, alla luce di nuove scelte di consumo e stili di vita, di nuove forme di mutualismo e di solidarietà. Tutti questi elementi segnalano delle inversioni di tendenza rispetto al processo di modernizzazione esperito nei decenni precedenti: differenziazione, invece che specializzazione funzionale, territorializzazione e integrazione multifunzionale e a rete, invece che standardizzazione e settorializzazione.

Un manifesto chayanoviano
I modelli diversificati di agricoltura e le dinamiche eterogenee di cambiamento sono poi visti come una opportunità nuova (anche se di fatto le contraddistinguono da sempre) per le aree marginali e interne, a cui è stata dedicata una nuova strategia nazionale di sviluppo in Italia (Strategia Nazionale Aree Interne – Snai). Le aree interne rappresentano circa tre quinti del territorio e poco meno di un quarto della popolazione, sono spesso territori collinari e montuosi o valli appenniniche, sono distanti da grandi centri di agglomerazione e di servizio, soffrono problemi demografici, traiettorie di sviluppo instabili ma risultano assai diversificate al proprio interno, sono anche dotate di risorse specifiche, sono fortemente policentriche e, anche perché custodi di beni primari come acqua, aria buona, cibo, paesaggi, cultura, sono giudicate con un forte potenziale di attrazione. Si ritiene che le aree interne possano quindi essere pensate e progettate, da un lato, come destinatarie di beni collettivi e servizi (per ridurre il divario con il resto del paese) e, dall’altro, come aree capaci di produrre e offrire beni collettivi, che rispondono a bisogni espressi da tutta la società, e che si concretizzano quali servizi in grado di rafforzare i nuovi legami tra le aree interne rurali e le aree urbane. L’agricoltura multifunzionale risulta estremamente importante per le aree interne, non solo per la produzione di beni alimentari di base, ma anche per quella di beni e servizi non scambiati sul mercato (non commodity), definiti come beni collettivi o comuni, ma eventualmente connessi all’attività agricola: la rigenerazione idraulica, il paesaggio, la sicurezza alimentare, la qualità degli alimenti, la biodiversità, le energie rinnovabili, il controllo dell’inquinamento, il benessere animale, tradizioni ed eredità culturali, e ancora inclusione sociale, servizi alla popolazione, come educazione e formazione, attività di svago. Si tratta di beni e servizi non riproducibili in un contesto caratterizzato da monocolture, specializzate e intensive, non fungibili e per i quali conta e assume un significato particolare la localizzazione delle aziende o delle imprese. Questi beni e servizi sono dunque connessi al territorio e inscindibilmente legati a un’attività agricola che va tutelata, in virtù della sua funziona di salvaguardia e custodia del territorio stesso.
Bisogna certamente rilevare come la collocazione spaziale condizioni il livello di multifunzionalità aziendale. Le aziende che si collocano in montagna o nelle aree interne hanno un livello di multifunzionalità generalmente alto, mentre quelle che si collocano nelle aree più fertili di pianura tendono a essere più monofunzionali. Tuttavia, come evidenziano gli studi, un’elevata multifunzionalità caratterizza sempre più anche le aree periurbane, dove essa garantisce alle aziende agricole migliori opportunità e una maggiore capacità di resistenza alle esternalità negative, derivanti dalla vicinanza con grandi agglomerati urbani, dai processi di sprawl della città, ma anche risposte ai nuovi bisogni sociali, alla domanda di servizi e di qualità della vita.

Massenzatico (RE) 6/2/2019
Le dinamiche agricole diversificate di transizione, nella prospettiva multifunzionale, producono dunque una ridefinizione del rapporto città-campagna, nella ricerca di ricomposizione della “frattura organica” fra uomo e natura. In pratica, le aziende multifunzionali svolgono un ruolo di “connessione” tra le attività produttive e i beni comuni, di cerniera fra città e campagna. Forme di cooperazione locale, filiere corte, vendita diretta, agricoltura di prossimità, agriturismi, ma anche care facilities, agricoltura sociale, consumi solidali coinvolgono un numero crescente di attori, appartenenti anche a sistemi socio-economici istituzionali, ispirano strategie urbane e politiche del cibo, forme di pianificazione territoriale nell’ottica della sostenibilità e della sicurezza e sovranità alimentare. Il rurale e le dimensioni a esso collegate sono sostenute in modo endogeno dai mutamenti legati agli stili di vita, ma anche da una nuova riflessività, che riguarda il mondo della produzione, del consumo e della politica istituzionale. In Italia, come altrove, la diffusione dell’agricoltura sociale e le esperienze delle reti agro-alimentari civiche o alternative, a sostegno di un’agricoltura contadina, etica e sostenibile, hanno mostrato come lo sviluppo rurale coinvolga un numero crescente di attori, che appartengono a sistemi socio-economico-istituzionali diversi, in ambito urbano e rurale (società civile, organizzazioni non governative, movimenti sociali e culturali, gruppi di opinione, cooperative sociali, amministrazioni locali…). La sinergia tra attori e contesti diversi ha portato allo sviluppo dei cosiddetti “mercati nidificati” (nested markets), in grado di offrire beni e servizi specifici incorporati in contesti relazionali “protetti”.
L’agricoltura di prossimità può contribuire al miglioramento della qualità della vita urbana, a strutturare nuovi rapporti tra città e montagna in termini di scambio e regolazione solidale. La montagna rurale offre alla città beni con un importante grado di infungibilità, beni e servizi ecosistemici, idrici ed energetici, spazi di attraversamento delle grandi infrastrutture, un consistente patrimonio fondiario e architettonico tradizionale, produzioni alimentari locali di qualità, la cura dell’ambiente e del paesaggio di cui fruiscono gli abitanti della città e, allo stesso tempo, garantisce quella manutenzione del territorio che protegge le città pedemontane e i corridoi vallivi di accesso dal rischio idrogeologico e idraulico.
Si può forse dire che molti dei beni prodotti dall’agricoltura multifunzionale sono esternalità prodotte in maniera quasi inconsapevole. Allora, uno dei problemi o uno degli obiettivi delle politiche dovrebbe essere proprio quello di trasformare l’esternalità positiva in obiettivo consapevole, riconosciuto dalla collettività. Vi è dunque la necessità di elaborare soluzioni, invenzioni, anche di tipo istituzionale, che siano in grado di determinare un’uscita dalla dicotomia pubblico/privato, occorre restituire la tutela del territorio alle comunità locali e riconoscere il ruolo dell’azienda agricola contadina e multifunzionale, individuando specifiche modalità di compensazione economica per la vasta gamma di “beni collettivi” prodotti o gestiti, associati alla produzione di alimenti e al fare contadino. Le politiche di sviluppo devono superare la dimensione settoriale, coordinando fondi, piani e misure, elaborando strumenti di pianificazione integrata degli spazi rurali, compresi i piani paesaggistici. Vi è la necessità di politiche multilivello pensate come “patti collettivi”, all’interno di specifici sistemi locali, in grado di generare convenienza nella produzione di valore aggiunto territoriale, ambientale e paesaggistico. Tutto ciò è coerente con gli obiettivi volti alla promozione e salvaguardia della diversità culturale e naturale, e con l’approccio plurifondo impiegato dalla Strategia Aree Interne, che permette di utilizzare finanziamenti provenienti da più fondi. La migliore definizione di questa Strategia a livello locale passa attraverso una maggiore attenzione all’accesso ai servizi di una parte non irrilevante della popolazione, e per processi di policy volti alla generazione di beni comuni collettivi.
La foto di copertina viene da un articolo su Van Der Ploeg di GeograficaMente che vi consigliamo di leggere.