Le varietà agronomiche lombarde tradizionali a rischio di estinzione o di erosione genetica

Per varietà locali (o landrace in inglese) si intende una popolazione dinamica di una pianta coltivata che ha un’origine storica e un’identità definita e che non ha subito una selezione formale verso una serie di caratteri peculiari, oltre ad essere spesso più variabile geneticamente rispetto a una cultivar moderna ed essere associata a tecniche colturali tradizionali. Inoltre ad esse sono normalmente associati usi e tradizioni spesso ben consolidate, che in particolare si esprimono in piatti tipici della tradizione territoriale, anche in virtù, in genere, delle loro peculiari caratteristiche organolettiche (“antichi sapori”). Abbandonate in larga parte negli ultimi 100 anni dall’agricoltura moderna in Europa e ancor più negli USA (fino al 90%), sono ampiamente considerate a rischio di erosione genetica se addirittura non di estinzione; ciò è legato al fatto che in genere, in condizioni standard, risultano meno produttive, si mantengono solo con i propri semi (nel caso di entità che si propagano da seme) ed essendo annuali il rischio di perdita è elevato, sempre meno persone le coltivano; inoltre spesso rischiano l’incrocio con cultivar moderne (es. i mais). Molte si sono salvate in quanto facenti parte di collezioni di germoplasma in banche dei semi, collocate in varie parti del mondo, pur provenendo dal nostro Paese, oppure sono presenti in strutture nazionali, come ad esempio quelle che fanno capo ai centri di ricerca agronomica del MIPAAF (CREA) oppure del CNR. Ma in campo (on farm/in situ) si sono conservate e se sì, dove? A ben guardare, grazie a campagne di raccolta realizzate soprattutto nelle zone rurali interne e montane si possono ancora trovare molte di queste peculiari risorse genetiche. L’Italia e persino le regioni del Nord ad agricoltura molto avanzata e industriale, come la stessa Lombardia, sono in realtà ancora ricche di queste varietà tradizionali locali, non solo nelle collezioni ex situ (Banche del Germoplasma), ma ancora in coltura, presso piccole aziende agricole oppure pensionati o semplici appassionati, che curano ad esempio un orto famigliare, soprattutto in zone di montagna, dove l’isolamento e in genere il maggior attaccamento alle proprie tradizioni ne ha spesso permesso la conservazione. Questi, spesso inconsapevoli seed saver o “agricoltori custodi”, continuano da generazioni, due o tre a volte (sulla base delle testimonianze che si possono raccogliere), a utilizzare gli stessi semi per produrre molte varietà di ortaggi e anche di cereali, come fagioli, pomodori, ceci, mais, ma anche a volte patate. Recuperare queste entità, sottrarle al pericolo di estinzione e ricoltivarle è spesso un’operazione non solo di pura conservazione dell’agrobiodiversità, ma anche culturale, legata alla salvaguardia della memoria di tecniche colturali ormai anch’esse scomparse (es. le consociazioni in campo di cereali e leguminose), oltre all’uso culinario specifico in piatti locali (es. la polenta concia con il mais ‘Rostrato di Val Chiavenna’ o quella semplice con il mais ‘Ottofile del Pavese’, usato questo anche per fare pane o dolci, come i pangialdini delle feste dei morti, a novembre). Molte di queste varietà sono state mantenute proprio grazie all’uso in sagre locali, come la ormai nota cipolla precoce ‘Rossa di Breme’ (Pavia), grazie all’attività congiunta di piccoli agricoltori e organizzazioni di volontariato (polisportive, pro loco, ecc.), nonché di amministrazioni locali lungimiranti. Spesso poi queste varietà locali risultano essere molto frugali, necessitando di pochi input esterni, quali apporti nutritivi e idrici, anche grazie a cicli riproduttivi molto rapidi o adattabilità ai climi di montagna, di per sé più freschi e piovosi; questo aspetto, vivendo ormai un periodo di crescente mutamento climatico, spesso con lunghe siccità estive e piogge, concentrate in pochi giorni (poco utili se non disastrose) può tornare utile, riscoprendo colture meno produttive ma poi non così poco: se si coltivano in condizioni non idonee anche le moderne cultivar risultano scarsamente produttive. Da qui anche la riscoperta di queste varietà da parte delle aziende agricole a conduzione così detta biologica e da parte di tanti piccoli agricoltori (anche convenzionali), che sono alla ricerca di nuove colture e redditi più convenienti. Infatti, coltivando queste entità spesso si verifica anche una maggiore sostenibilità economica, in quanto molte di queste varietà (pensiamo ai fagioli zolfini della Toscana) rappresentano ormai un prodotto ricercatissimo dai consumatori, venduto spesso dagli stessi agricoltori grazie a piattaforme di e-commerce, a prezzi, per loro, assai interessanti. Queste motivazioni hanno pertanto spinto gli autori di questo libro prima a proporre a Regione Lombardia, nell’ambito delle misure del Piano di Sviluppo Rurale, un progetto informativo destinato agli agricoltori custodi di varietà locali, o aspiranti tali, REIiVEL, buone pratiche per il recupero, la coltivazione e la valorizzazione di cultivar locali tradizionali lombarde (http://relive.unipv.it/); il progetto sembra avere avuto un buon successo di pubblico, grazie anche alla fattiva collaborazione e ai mezzi di comunicazione messi a disposizione dai nostri partner, l’Università statale di Milano e in particolare la sede distaccata di Edolo (Unimont). I seminari e i workshop svolti, numerosi, come verrà illustrato nel paragrafo che segue, sono stati appunto trasmessi in diretta via streaming, nonché registrati e disponibili per essere visti o scaricati sul sito di Unimont. Tuttavia, dopo aver scritto un primo libro quale la Guida all’Agrobiodiversità vegetale della Provincia di Pavia. Riscoperta, conservazione e valorizzazione, abbiamo anche ritenuto utile cogliere l’interesse suscitato tra gli agricoltori per lasciare loro un manuale che offra un quadro conoscitivo per la Lombardia, con una checklist delle principali varietà locali di specie ortive e cerealicole. In questa lista, abbiamo ritenuto opportuno inserire anche un’altra categoria di piante coltivate, almeno un tempo, anch’esse largamente a rischio di scomparsa, quali le cultivar obsolete, che ormai da molto tempo l’industria sementiera ha abbandonato, ma non vari piccoli agricoltori nei loro orti e campi. Si tratta nel complesso di una lista di ben 188 entità diverse, che poniamo all’attenzione del pubblico e dei colleghi esperti di queste risorse fitogenetiche tradizionali, affinché vi sia un dibattito regionale e quindi una lista complessiva migliorata, col tempo. Certamente molte sono ancora le entità da indagare e valutare se ritenerle valide per l’inserimento in questa lista, soprattutto tra le cerealicole, come mais e risi; del resto in Regione operano importanti centri di ricerca come il CREA-MAC con sede a Stezzano (Bergamo) e il Centro Ricerche sul  Riso-Ente Nazionale Risi di Castello d’Agogna (Pavia), che potranno contribuire più di noi all’implementazione di questa lista. La checklist nel testo è preceduta da un capitolo introduttivo che presenta le definizioni di base su cui è standardizzato il nostro lavoro, seguito da schede illustrative di un numero rappresentativo di casi, ben 9 colture sottoutilizzate con entità non strettamente locali e lombarde, nonché altre 51 schede relative a varietà locali lombarde e cultivar obsolete, queste ultime forse non esclusive della Lombardia, questione anch’essa da verificare con ulteriori indagini da estendersi almeno alle regioni limitrofe. L’elenco fornito quindi vuole essere uno stimolo a nuove segnalazioni di entità non ancora individuate e descritte, che sicuramente esistono in un territorio così vasto e diversificato come è la Lombardia. Tra i contributi che poi ospitiamo nel volume, di particolare interesse è quello finale sulla normativa in materia di conservazione dell’agrobiodiversità in piante a rischio di erosione genetica, grazie a un lavoro molto attento che ci è stato fornito dalla stessa DG Agricoltura nelle persone della dr.ssa Laura Ronchi e dr.ssa Elena Brugna; queste informazioni saranno molto utili a chi vorrà avviare una procedura di registrazione negli appositi registri e anagrafi nazionali delle varietà locali non ancora iscritte e di suo interesse, interesse che poi è per l’intera collettività. Un grazie va a tutti coloro che ci hanno aiutato in questa impresa e che hanno testimoniato circa le varietà che essi stessi coltivano e anche donato parte dei semi per la collezione ospitata presso una struttura che dovrebbe contribuire a conservarli a lungo nel tempo, la Banca del Germoplasma Vegetale dell’Università di Pavia, attiva presso il Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente. Il presente volume è stato realizzato a cura di sette autori, anche se vengono ospitati due contributi tematici a cura di Rosalia Caimo Duc (Società Agricola Terre di Lomellina), Laura Ronchi ed Elena Brugna (Regione Lombardia, DG Agricoltura). I capitoli e paragrafi che non riportano un autore sono da considerarsi come contributo dei sette autori principali.

Questa è la presentazione di Graziano Rossi, Le varietà locali tra agrobiodiversità e sostenibilità, libro che Regione Lombardia ha pubblicato e che ha reso disponibile a questo link

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